Covid19, emergenza sanitaria e crisi socio-politica
E’ un abbraccio che dedico ai miei concittadini non vaccinati, che si sottopongono continuamente a tampone naso-faringeo: per loro è il modo per ottenere il “certificato verde” (green pass), attestato di negatività al Covid19 per le successive 48 ore; il Governo ne ha stabilito l’obbligatorietà per alcuni luoghi pubblici e mezzi di trasporto; e dallo scorso 15 ottobre per accedere al lavoro. Il fastidio della stanghetta spinta su per la narice si impila ai disagi di programmare le giornate con tale incombenza, e al peso sull’economia domestica; e acuisce la sensazione, svelatami da amici, di essere cittadini di “serie B”, a cui sono stati ipotecati i diritti civili.
Una situazione che accomuna 5 milioni di over 19 non vaccinati che non aderiscono alla Campagna del Governo; lanciata non appena EMA (Agenzia Europea del Farmaco), e Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), hanno autorizzato il commercio di quattro vaccini alla fine delle tre fasi sperimentali; e alla quale hanno partecipato già in 47 milioni.
Il rifiuto di questo strumento di profilassi contro il Sars-Cov-2, un virus altamente contagioso, è dettato dal timore che il vaccino sia pericoloso per la salute. Secondo il rapporto Aifa dello scorso ottobre, si sono verificati 17 casi avversi gravi ogni 100.000 abitanti, e 16 decessi correlabili su 85 milioni di dosi somministrate. Si appella a percentuali minuscole – per quanto dolenti – chi giustifica la propria esitazione. C’è poi una frangia convinta che il vaccino sarebbe più pericoloso della malattia stessa: la quale, nelle sue forme peggiori, scatena un assalto multi-sistemico all’organismo. Nel 2,4% dei casi il Covid19 non lascia scampo nemmeno con assistenza medica. Non esiste ancora una cura affidabile protocollata che eviti l’aggravamento; un miraggio che ha radicalizzato la scelta di non vaccinarsi. Alla malattia si aggiunge il Long-Covid, lo strascico del virus, e che infligge ai pazienti (10% sul totale) problemi cardio-vascolari e neurologici; e che colpisce anche chi ha fatto il Covid19 in forma lieve, compresi i bambini.
Nel mondo, dal gennaio 2020, la malattia ha causato oltre 5,1 milioni di morti secondo stime ufficiali; un numero in realtà superiore: nelle ondate peggiori, i malati sono trapassati senza ricevere un test di positività; situazioni vissute a ogni latitudine, non solo nella Lombardia della primavera 2020. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità), i contagi globali ammontano a 250 milioni, con ospedalizzazioni soprattutto di anziani, ma pure dei giovanissimi.
In Italia si registrano 132.000 decessi e quasi 5 milioni di contagi, numeri “contenuti” grazie a mesi di lockdown. Si penserebbe che i non vaccinati si affratellino ai vaccinati per costituire una barriera contro la diffusione del virus: il vaccino ha un alto livello di protezione dal contagio, sebbene scenda dopo sei mesi; mentre i tamponi su scala vasta e capillare permettono di intercettare sintomatici lievi e asintomatici – per quanto i test antigenici non siano troppo affidabili. Tuttavia il clima è diverso: chi rifiuta la profilassi giudica le misure anti-Covid19 come intollerabili, individuando nel Green Pass uno strumento coercitivo alla vaccinazione, e simbolo di un sistema liberticida.
Violerebbe l’articolo 32 della Costituzione, che recita: “nessuno è obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Tuttavia il testo recita anche che “la salute è un diritto individuale e di interesse della collettività”. Nell’interpretazione giuridica, il certificato verde è un supporto temporaneo alla salute pubblica, legittimo perché potrebbe essere imposta addirittura l’obbligatorietà del vaccino; come per i sanitari, i cui ricorsi sono stati bocciati dal Consiglio di Stato.
A pochissimi viene imposto il vaccino; a tutti viene chiesto di contribuire nella lotta contro il Covid19. L’alternativa è nel dispositivo di precauzione per prevenire l’ingolfamento degli ospedali: la suddivisione dei livelli di emergenza basata sulla situazione epidemiologica. Ormai è acclarato che i non vaccinati si infettano molto di più, e molto di più contagiano; e hanno una probabilità di finire ospedalizzati, e perire, enormemente superiore rispetto a chi si vaccina. Oltre certe soglie di terapie intensive occupate dai pazienti Covid, si innesca la compartimentalizzazione di ambienti e territori; con le fasce a colori che determinano gradi di restrizioni nelle regioni, fino alla chiusura di scuole e attività, e il divieto di circolazione.
Ci siamo già passati, rinchiusi in casa per mesi, con i bambini in didattica a distanza e l’esangue sostegno della cassa integrazione; assistendo ai bollettini quotidiani, un anno fa esatto, con centinaia di morti, decine di migliaia di contagiati, e lo sfinimento di medici e infermieri.
Queste misure hanno coinvolto tutta la popolazione, indistintamente; e da subito hanno sollecitato l’uso del termine “dittatura”. Iniziò il filosofo Giorgio Agamben, nella primavera 2020, a definire la malattia un pretesto: il potere sta creando una società controllata in cui i diritti costituzionali, come la libera circolazione e il lavoro, possono essere smantellati. Riflessioni irrigidite con l’immissione del green pass: la campagna vaccinale lanciata per tornare alla normalità, è considerata un’arma contro una minoranza di cittadini.
Sono pochi gli intellettuali che parlano di crisi democratica; ragionamenti però espressi nei talk-show, in saggi, o abbozzati in post che rimbalzano nei social di milioni di cittadini. “Se oggi stanno togliendo i diritti a me – mi ha spiegato un’amica – possono tranquillamente farlo a te un domani.”
Non importa che l’azione del Governo Draghi, in continuità con quella del Conte bis, sia sostenuta dalla quasi totalità dell’arco parlamentare; supervisionata dal Presidente della Repubblica e dalla Corte Costituzionale, e concordata con i Presidenti di Regione e sindacati nazionali. Non conta che le misure siano elaborate anche su indicazioni del CTS (Comitato Tecnico Scientifico), e avvallate dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità); con valutazioni basate sul flusso delle evidenze scientifiche pubblicate dai ricercatori di tutto il mondo.
E’ uno scambio, quello tra politica e scienza, in costante evoluzione per ottenere le migliori soluzioni sia in campo sanitario che sociale; come ha sottolineato in un recente editoriale sul Corriere della Sera Paolo Giordano:
[…] la Scienza non è in grado di formulare promesse a lungo termine, e nemmeno promesse completamente affidabili nel medio. E tuttavia è in grado di stabilire, come in ogni istante dei mesi trascorsi, quello che conviene fare ora, nel presente, in base alle conoscenze accumulate.”
Tuttavia è in questa difficoltà a mantenere un percorso lineare che avvampano le critiche sulla gestione dell’emergenza sanitaria. Siccome la comunità medica non è un monolite, al suo interno spuntano voci dissonanti sul Covid19 e sulle misure di contrasto: a volte con uno spirito costruttivo, per migliorarle; altre, con l’intento di minare la barriera eretta contro il virus. Voci che viaggiano poi in rete, interpretate superficialmente o piegate da malafede e disinformazione. Chiunque si sente in diritto di dire la propria, con un qualche tipo di ricerca o dati a supporto; spesso decontestualizzati, e ogni tanto errati e perfino manipolati. Qualcuno arriva a ridurre il Covid19 a poco più di un’influenza: accetterebbe di renderlo endemico, pur senza cure, rinunciando al vaccino; uno stato di negazione che periodicamente, un po’ ovunque, ha determinato morte, paura e dolore.
Questo diritto si fa “dovere” quando dall’esprimere un’opinione si passa all’attivismo. Convincere parenti e follower a rifiutare il vaccino si trasforma in un atto politico, se contribuisce a erodere le misure basate sulla profilassi; scendere in piazza contro il Green Pass diventa una forma di resistenza, se aiuta ad abbattere uno strumento percepito come “repressivo”. Un attivismo con derive illegali: in questi mesi si è assistito a un’escalation della disobbedienza civile; fino ai vaneggiamenti come l’accostamento dei non-vaccinati ai campi di concentramento: là gli internati venivano trucidati, mentre qui ogni cittadino riceve le migliori cure in un generale sforzo di limitare un virus devastante.
Quanto sia difficile un percorso lineare lo dimostra l’attuale peggioramento della situazione epidemiologica in Europa: nei Paesi dell’est, con il fallimento della campagna vaccinale, ospedalizzazioni e decessi sono saliti alle stelle; in Paesi dove la popolazione vaccinata è sotto al 70%, e le precauzioni allentate, si assiste a un inesorabile ingolfamento degli ospedali. Persino nell’efficiente Germania il momento è drammatico, con le terapie intensive in sofferenza; la fine dell’emergenza era stata programmata entro novembre. Nuove restrizioni sono già state implementate in Olanda, mentre in Austria vengono riservate ai non vaccinati.
L’Italia, grazie alle misure adottate, sta contenendo la quarta ondata; i numeri dei contagi, come una lenta marea, si stanno innalzando, ma le ospedalizzazioni per ora sono lontane dalle soglie critiche. Nella speranza che il richiamo vaccinale sia un rinforzo sufficiente affinché la barriera anti-Covid non ceda; e non si rendano necessarie misure più severe: il rischio è di acuire il senso di emarginazione di chi rifiuta la profilassi, allargando la crisi socio-politica. Tenendo ben presente, però, che è il Covid19 a generarla, la crisi, minacciando l’intera popolazione e la stabilità del Paese.
Torna utile ripensare alle parole dell’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quando annunciò il primo lockdown nazionale nel marzo 2020, e adattarle alla situazione odierna: siamo parte di una comunità, pur accalorandoci nella distanza delle idee, dobbiamo restare idealmente abbracciati per guardare con fiducia al domani.
di Cristiano Arienti
In copertina: Murales dedicato a medici, infermieri e pazienti Covid19 dell’Ospedale Sacco di Milano dopo essere stato vandalizzato.