11/9: la verità che spaventa l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti

Il Presidente Usa Barack Obama ha rilasciato un’intervista alla CBS in cui spiega il suo approccio riguardo a un argomento che ormai sta rimbalzando sulla stampa di tutto il mondo: il ruolo dell’Arabia Saudita negli attacchi dell’11 Settembre, nei quali persero la vita oltre 3.000 persone.

Durante l’intervista Obama ha ribadito che porrà il veto al Justice Against Sponsors of Terrorism (JASTA): è un disegno di legge del Congresso Usa che consentirebbe alle famiglie di vittime americane uccise in attentati terroristici sul suolo Usa, di portare in tribunale chiunque abbia supportato i terroristi. Secondo Obama questa legge, una volta passata al Congresso, incentiverebbe potenze straniere a varare leggi equivalenti; con la conseguenza che molti rappresentanti del Governo americano all’estero potrebbero essere citati in giudizio da comuni cittadini.

Il disegno di legge Jasta è anche denominato 9/11 Bill, perchè permetterebbe alle famiglie delle vittime dell’11 Settembre di denunciare elementi del governo dell’Arabia Saudita, sospettati di aver aiutato i dirottatori dell’11 Settembre durante il periodo in cui vissero negli Stati Uniti prima dell’attacco.

Finora i tentativi delle famiglie delle vittime sono stati vani, perchè l’ex Presidente Usa Geroge W. Bush prima, e l’attuale Presidente Obama poi, si sono rifiutati di rimuovere l’immunità che protegge i sauditi: dal 2002 le varie corti incaricate di vagliare le richieste, hanno sempre negato il via libera ai processi.

Nel 2010 l’avvocato del Dipartimento di Giustizia Elena Kagan, attuale Giudice della Corte Suprema, chiese a una Corte federale di New York di rigettare la richiesta dei parenti delle vittime dell’11 Settembre di citare in giudizio membri del governo saudita. Nell’ottobre 2015 un altro tentativo dei parenti delle vittime è andato a vuoto per mancanza di prove.

Tuttavia le prove sarebbero contenute in un documento classificato di “28 pagine” che dettagliano il ruolo di governi stranieri nel finanziamento ai terroristi. Si tratta di un capitolo del dossier dell’Inchiesta Congressuale sulle attività di Intelligence dell’11 Settembre; dossier che è stato utilizzato anche per redigere il Rapporto finale della 9/11 Commission, pubblicato nel 2004, e dove si stagliano le “28 pagine”, una di seguito all’altra, tutte censurate.

Da tempo le famiglie delle vittime dell’11 Settembre, nell’ottica di acquisire maggiori prove da usare contro i sauditi in relazione agli attacchi, ne chiedono la declassificazione.

L’ex senatore Bob Graham fu il Co-Presidente di quella Inchiesta Congressuale, e supervisionò la redazione delle “28 pagine”: fin dalla loro classificazione si è speso incessantemente affinchè gli americani potessero leggerle, e scoprire che l’Arabia Saudita, in qualche modo, è stata complice nell’attacco terroristico portato a termine da Al-Qaeda.

Per anni Bob Graham, legato al vincolo di segretezza, ha tentato di far capire ai suoi concittadini l’importanza di quelle pagine, anche solo per evidenziare quanto fosse sbagliata la politica di Bush in Medio Oriente; l’ex senatore, però, è rimasto inascoltato: troppo forte era il rimbombo delle due guerre, in Afghanistan e Iraq, scatenate in risposta all’11 Settembre. Anche sotto l’amministrazione Obama gli appelli di Graham sono rimbalzati a vuoto, durante interviste a organi di stampa minori; l’America, guidata dal primo Presidente afro-americano della storia, era proiettata verso il futuro, e invitata a “guardare avanti”.

A partire dal 2013, però, la sua lotta, e quella dei parenti delle vittime dell’11 Settembre, ha finalmente ottenuto dei risultati; a partire dal lancio di due risoluzioni congressuali, la HR428 e la HR14, per la declassificazione delle “28 pagine”.

Dopo quasi tre anni di una difficile campagna mediatica, i riflettori su questo scottante argomento si sono riaccesi lo scorso 10 aprile, quando l’autorevole 60 Minutes ha trasmesso uno speciale sulle “28 pagine”, con un’intervista a Graham molto esplicita: “Una rete di persone ha aiutato i dirottatori durante il loro soggiorno negli Stati Uniti, prima dell’attacco dell’11 Settembre; erano individui del Governo dell’Arabia Saudita, facevano parte di fondazioni saudite, o erano benefattori sauditi.”

Oltre all’ex Senatore, sono state intervistate altre persone che hanno letto le 28 pagine: fra questi l’ex Segretario della Marina John Lehman, uno dei componenti della 9/11 Commissionil quale ha dichiarato: nelle 28 pagine si fanno nomi e cognomi di chi ha materialmete supportato i dirottattori, e certi nomi sono familiari al pubblico medio di 60 Minutes. 

Lehman, in pratica, indica personalità saudite ben conosciute in America. Uno dei sospettati maggiori sarebbe il Principe Bandar Bin Sultan, all’epoca dell’11 Settembre ambasciatore saudita a Washington, e in seguito uomo chiave dell’Intelligence di Ryadh.

Tra il 2000 e il maggio del 2001 la moglie del Principe Bandar inviò alla moglie di Osama Basnan, un agente saudita negli Stati Uniti, somme di denaro pari a 73.000 dollari: quegli assegni vennero poi girati ad Omar Al-Bayoumi, il cittadino saudita che nel gennaio 2000 accolse a Los Angeles Khalid Al-Mihdhar e Nawaz Al-Hazmi, due dei futuri dirottatori dell’11 Settembre. Nel periodo in cui Bayoumi ricevette le somme di denaro, pagò l’alloggio di San Diego ad Al-Mihdhar e Al-Hazmi, li iscrisse a una scuola di inglese e alla scuola di volo per piloti, e li introdusse nella comunità saudita di San Diego. Bayoumi, in quel periodo, frequentò anche Hani Hanjour, il pilota che schiantò l’A77 contro il Pentagono.

Graham spiega che il capitolo classificato è solo una sintesi di oltre migliaia di pagine tra rapporti e documenti in cui vi sono le prove del sostegno che governi stranieri offrirono al commando di Al Qaeda nei due anni precedenti all’11 Settembre.

Durante la sua intervista alla CBS, Barack Obama ha spiegato che il Direttore della National Intelligence Andrew Clapper sta finendo di scrutinare le “28 pagine” in vista di un eventuale declassificazione, nei prossimi mesi. Il Presidente, che ha ammesso di non aver letto il documento, ha specificato che la sua sarà una scelta pragmatica, legata alla sicurezza nazionale.

Anche Bernie Sanders, il candidato alle primarie democratiche per la Casa Bianca, vorrebbe vedere le 28 pagine declassificate; eppure nemmeno lui, pur avendone facoltà in qualità di Rappresentante del Congresso, dice di non aver letto il documento che incriminerebbe l’Arabia Saudita. E sarebbe anche cauto su una legge come la 9/11 Bill. La sua rivale Hillary Clinton, già Segretario di Stato, non si è pronunciata sul contenuto delle “28 pagine”, ma ha detto che la declassificazione resta un problema di sicurezza nazionale.

Un argomento, però, scartato da chi ha avuto accesso alle 28 pagine: dai Rappresentanti Stephen Lynch e Walter Jones, sponsor della HR428 e della HR14, a John Lehman e Bon Graham, tutti hanno affermato che la declassificazione delle 28 pagine non metterebbe a rischio la sicurezza nazionale. Walter Jones, repubblicano del North Carolina, ha però sottolineato che metterebbe in imbarazzo l’amministrazione Bush.

Le 28 pagine sul finanziamento ai terroristi di Al-Qaeda da parte di governi stranieri era pronto già a dicembre 2002; ma invece di svelare agli americani la complicità dei sauditi negli attacchi dell’11 Settembre, Bush era impegnato a convincerli, con false prove, del legame di Saddam Hussein con Osama Bin Laden, l’istigatore degli attacchi all’America, in vista di una guerra contro l’Iraq.

Se davvero poi nelle 28 pagine emergesse il nome dell’ex ambasciatore saudita a Washington Bandar Bin Sultan, detto “Bandar Bush” per i suoi noti legami con la famiglia Bush, allora la decisione dell’ex Presidente Usa di classificarle risulterebbe ben più chiara. Si spiegherebbe anche la scelta iniziale di affidare la guida della 9/11 Commission a Henry Kissinger, costretto poi a dimettersi quando i parenti delle vittime scoprirono i suoi legami con l’Arabia Saudita.

La scelta cadde quindi su Philip Zelikow, che da Direttore operativo della Commissione rimase in costante contatto con la Casa Bianca durante tutto il periodo dell’indagine: in particolare con Karl Rove, Consigliere speciale di Bush. Zelikow era anche uno stretto collaboratore di Condoleezza Rice, Consigliere per la Sicurezza della Casa Bianca, la quale ignorò, nei tre mesi prima dell’attentato, numerosi e ripetuti allarmi da parte dell’Intelligence americana, e quelli provenienti un po’ da tutto il mondo, su un probabile attacco di Al Qaeda all’America.

E’ Zelikow stesso che più volte ha ripetuto: nelle “28 pagine” ci sono soltanto piste sulle quali però non sono state condotte sufficienti indagini per puntare il dito contro l’Arabia Saudita. Tuttavia, durante i lavori allontanò due investigatori della 9/11 Commission, Dana Lasemann e Michael Jacobson, autori delle “28 pagine”; Lasemann e Jacobson, già al servizio dell’Inchiesta Comgressuale presideduta da Bob Graham, cercavano di continuare le loro indagini sui cittadini sauditi, e comprendere meglio perchè il governo americano avesse mancato di approfondire il legame tra l’Arabia Saudita e i terroristi.

Comunque nel Rapporto finale della 9/11 Commission il gergo usato per esentare da colpe i sauditi è vago: “non sono state trovate prove che il Governo saudita come istituzione o alti ufficiali sauditi in persona, abbiano supportato finanziariamente i dirottatori.”

Una frase che lascia aperta la possibilità che ufficiali sauditi di basso rango abbiano potuto farlo, e ci siano anche le prove.”

President George W. Bush meets with Saudi Arabian ambassador Prince Bandar bin Sultan at the Bush Ranch in Crawford, Texas, Tuesday, Aug. 27, 2002 WHITE HOUSE PHOTO BY ERIC DRAPER

George W. Bush e il Principe Bandar Bin Sultan

Insomma, la 9/11 Commission ha insabbiato finchè ha potuto il ruolo dell’Arabia Saudita negli attentati dell’11 Settembre, con la benedizione dell’ex Presidente Usa, amico personale del principe Bandar Bin Sultan.

Se Bush aveva motivi personali (proteggere la famiglia Reale Saudita) e geopolitici (togliere dalle mani di Saddam Hussein la quinta riserva petrolifera del mondo), esiste anche un’altra spiegazione per questo insabbiamento: il timore che un’accusa esplicita all’Arabia Saudita, asse portante dell’economia basata sul petro-dollaro, avesse conseguenze diplomatiche imprevedibili.

Una paura che rischia di concretizzarsi davvero da quando i media americani stanno insistentemente parlando delle “28 pagine” e soprattutto del 9/11 Bill; il 15 aprile scorso sulla prima pagina del New York Times si poteva leggere la dichiarazione del Ministro degli Esteri saudita Adel Al-Juber: siamo pronti a disinvestire i nostri beni americani, compresi i titoli del tesoro, per un valore di 750 miliardi di dollari. Una cifra vicina ai 700 miliardi usati dal Tesoro Usa per salvare l’economia nel settembre del 2008, quando il mercato azionario americano era sul ciglio del burrone.

Una manovra di questo genere avrebbe pesantissime conseguenze per l’Arabia Saudita, che “svenderebbe” gli asset americani a un valore inferiore; e affonderebbe l’economia americana, che da un giorno all’altro vedrebbe svalutati i suoi titoli del tesoro. E’ un’ipotesi remota quindi: infatti i sauditi, assistiti da alcuni dei più importanti lobbisti di Washington, stanno facendo enormi pressioni sul Congresso Usa per bloccare la 9/11 Billesperti come Fareed Zakaria della CNN stanno cercando di calmare le acque: è vero che l’Arabia Saudita ha esportato l’ideologia di Al Qaeda e dell’Isis, ma al tempo stesso è un nemico dei terroristi, è stata attaccata più volte da Al Qaeda; e pensare che Ryadh possa essere portata in tribunale come istituzione è discutibile.

E’ con queste premesse che domani Barack Obama affronta una visita ufficiale in Arabia Saudita, un Paese impegnato nella guerra in Yemen, e molto attivo sul fronte siriano e molto insoddisfatto per come gli Stati Uniti hanno gestito l’agenda sul programma nucleare iraniano.

E la visita è già stata anticipata da un altro affondo della Casa Bianca contro Ryadh: lo scorso marzo  The Atlantic ha pubblicato un lungo ritratto di Obama e la sua politica estera; nell’articolo, intitolato “La Dottrina di Obama”, il Presidente Usa si chiede: “Perchè dobbiamo considerare l’Arabia Saudita un alleato? Quando sappiamo che appoggia gruppi terroristici sunniti in Medio Oriente, e diffonde nel mondo una visione dell’Islam estremista e che non perdona?”

Forse 750 miliardi di dollari sono una risposta sufficientemente argomentata per il Presidente Usa; non lo sono per i parenti delle vittime dell’11 Settembre. Terry Strada, che perse il marito Tom nell’attacco al World Trade Center ha dichiarato alla CNN: “Sono scioccata, non pensavo che l’Arabia Saudita potesse mettere in atto una leva così potente sugli Stati Uniti. Noi stiamo solo chiedendo giustizia e verità. Dopo l’11 Settembre il motto è stato “never forget – mai dimenticare”, ed è per questo che continuo a chiedere la declassificazione delle “28 pagine”, e la possibilità di portare in tribunale il nostro caso.”

di Cristiano Arienti

Leggi anche: gli articolo di approfondimento sull’11 Settembre su umanistranieri.it

www.28pages.org

https://28pages.org/2016/04/18/911-commission-investigators-proposed-examining-possible-political-economic-and-other-influences-on-inquiries-into-saudi-ties-to-attacks/

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