Elezioni Usa: la vittoria di Trump e l’alternanza della verità
“Se nel 2020 Biden rubò le elezioni, perché non avrebbe potuto alterare di nuovo il risultato, dalla Casa Bianca”? Alla domanda della NBC, il rieletto Donald Trump replica: “Stavolta era troppo grosso per essere truccato.”
Speculazioni, non essendoci notizie di voti manipolati a novembre; tuttavia nella logica trumpiana il discorso fila: nel 2020 furono cruciali 100.000 voti, su 155 milioni, tra Pennsylvania, Wisconsin e Georgia; con milioni di voti postali contati giorni dopo la chiusura delle urne, “qualcuno” doveva aver aggiunto schede in favore di Biden: col margine così ridotto il risultato poteva essere ribaltato. Nel 2024 in nessuno Stato la contesa è stata in bilico: “prova” che nemmeno col trucco quel “qualcuno” poteva batterlo.
Un’implicazione devastante: chi “ribaltò” le elezioni del 2020 avrebbe cercato di rifarlo; un’onta sull’esercizio di voto nel Paese paladino della democrazia.
Ormai il “furto delle elezioni” ha infestato il discorso pubblico, e non solo nel movimento Maga (Make America Great Again); la vittoria di Trump l’ha appurato: una fetta di americani ci crede, pur essendo un sospetto dissipato da molteplici inchieste. Quel “qualcuno”, sul piano giudiziario, non ha una faccia: il voto del 2020 si svolse correttamente; per il Maga, però, ha la sagoma ora di Joe Biden, ora dei democratici, oppure dello “Stato Profondo”: un colpevole sistemico. Una dinamica che ha mutato i valori nel Partito Repubblicano: pochi sono disposti a dichiarare che nel 2020 Biden vinse in modo regolare; o che Trump lanciò l’insurrezione del 6 Gennaio 2021, quando adunò la sua base mentre il Congresso certificava le elezioni, e la diresse verso il Campidoglio per “lottare fino alla fine”.
Nel recente Rapporto del Procuratore Speciale Jack Smith sulle interferenze elettorali nel 2020, è Trump che intralciò il processo democratico: con pressioni affinché “gli trovassero i voti” per ribaltare l’esito delle urne; o quelle al suo vice Mike Pence, Presidente del Senato, a non omologare il risultato. Dalle pagine emerge che le accuse sulla manomissione del voto erano infondate: servivano a generare caos, e impedire l’insediamento di Biden. Il Procuratore elenca le mosse di Trump che scatenarono l’assedio al Congresso; sfociato nella violenza, con morti, feriti, e la caccia ai leader del Partito Democratico e ai “traditori” in quello Repubblicano.
Eppure la Corte Suprema, già lottizzata da Trump nel primo mandato, gli ha permesso di candidarsi; e lui ha perdonato 1.500 che irruppero nel Campidoglio, commutando le pene a elementi di estrema destra che si aggiravano armati e con piani eversivi. Trump ha allargato la narrativa delle “elezioni rubate” anche ai fatti del 6 Gennaio: gli insurrezionisti diventano “patrioti” che agirono per difendere la libertà; una fetta di americani crede pure a questo. E’ l’apoteosi del divario tra realtà, spesso complessa, e la semplicistica post-verità: il formarsi di opinioni sulla base di emozioni, convinzioni, o notizie false.
Per quei fatti Trump non è perseguibile unicamente perché rieletto alla Casa Bianca; per il Maga, invece, è nuova epica nella saga del Presidente. I suoi fedeli coltivano la teoria che l’attacco al Campidoglio fu una trappola: “qualcuno” favorì lo scoppio delle violenze, con Trump vittima dell’ennesima macchinazione. Una narrazione esondata sui social media mentre l’ex Presidente era trattato da paria, imputato in diversi processi. Ricostruzioni alternative di “citizen journalists“, giornalisti indipendenti e media online favorevoli al magnate, si sono diffuse tanto quanto quelle ufficiali; magari basate sulle inchieste della grande stampa. Ad esempio sulla catena di errori nella sicurezza al Campidoglio; o sulle infiltrazioni dell’FBI nei gruppi di estrema destra, quel giorno mischiati ai Maga. Il video che mostra la deferenza delle guardie verso un facinoroso, nei momenti in cui la ribelle Ashley Babbitt fu uccisa, ha ispirato varia dietrologia.
“Qualcuno” avrebbe voluto quella crisi per bandire Trump da Washington, espellendo l’anomalia politica affacciatasi nel 2015. Un colpo già tentato con il “Russiagate”; il Rapporto del Procuratore Speciale John Durham lo evidenzia: un largo apparato istituzionale, dalla Cia all’FBI, dall’Amministrazione Obama-Biden al Partito Democratico, sapeva che la Campagna Clinton aveva architettato la connessione Trump-Russia; l’ufficiale FBI che aprì l’indagine, la definì “la polizza assicurativa” in caso di vittoria del magnate.
Nella mente Maga il “qualcuno” dietro al “furto delle elezioni” e ai “fatti del 6 Gennaio” sarà sempre un collettivo di nomi, volti e agenzie che ricorrono dal Russiagate in poi.
Parlando di post-verità, va incluso il battage politico-mediatico sulla connessione Trump-Cremlino, che portò all’indagine del Procuratore Speciale Robert Mueller: se l’inquilino della Casa Bianca veniva dipinto come un agente di Mosca, il Rapporto Mueller non ha trovato riscontri.
Al fine di impantanare l’Amministrazione Trump, venne propagato un “fatto alternativo”. Slogan coniato in origine dalla Casa Bianca per spiegare le divergenze del magnate rispetto a fatti evidenti; i suoi critici però non ne sono immuni: nonostante i Rapporti Mueller e Durham, per loro rimarrà sempre la marionetta del Cremlino.
Il sistema politico americano non marcia più sull’alternanza degli schieramenti, secondo un secolare bipolarismo; si è biforcato su un’alternanza delle “verità”. Se Biden, ma anche i padrini repubblicani, hanno definito Trump “una minaccia per la democrazia”, il rieletto Presidente afferma l’opposto: con lui alla Casa Bianca “la democrazia è ritornata.”
Quella che è una menzogna incontrovertibile per una fazione, è una verità incontestabile per l’altra, e viceversa; due dimensioni di realtà comunicanti grazie alla Costituzione e alle istituzioni; ma per quanto ancora? Un solco cognitivo anche a causa della perdita di autorità dei main-stream-media, con l’informazione veicolata sempre più sui social; dove si trova un citizen journalism meritevole, ma anche notizie inaccurate, parziali, o false. Non ha aiutato il cosiddetto fact-checking, a volte subordinato a “verità” precostituite. Nel 2020 il ritrovamento del lap-top di Hunter Biden, un forziere di scandali, ostacolava la corsa alla Casa Bianca del padre, ma venne bollato come “fake news“, e bandito sui social.
A detta del miliardario Elon Musk, quella censura contribuì all’acquisto di Twitter/X, per “proteggere la libertà di parola”. Quando però Musk proclama i suoi utenti come la “nuova stampa”, eleva alla potenza i pericoli della “post-verità” e dei “fatti alternativi”: l’informazione rischia di frantumarsi sotto il peso di notizie tendenziose o inventate, spesso rigenerantesi sui social oltre ogni fact-checking.
La “verità alternativa” non è una novità: che dire dell’allucinazione collettiva imposta dall’Amministrazione Bush-Cheney sulle armi di distruzioni di massa in Iraq, per giustificarne l’invasione nel 2003? O dello stato di negazione sul golpe di Dallas, nel 1963, quando il Presidente Usa John F. Kennedy venne assassinato in un fuoco incrociato? Da sessant’anni resiste la vulgata del cecchino solitario. “Verità alternative” funzionali per il sistema: la (ri)presa del comando di un gruppo di potere ostile al clan Kennedy; la proiezione di potenza Usa delle ali militariste di Repubblicani e Democratici – di cui i Bush, i Cheney, i Clinton e i Biden erano espressione.
Anche le bugie di Donald Trump hanno una funzione: presa e mantenimento del comando; la demolizione dei gruppi di potere a Washington, oltre che dello Stato Federale dell’ultimo secolo. Progetti possibili grazie al rapporto parassitario del magnate con il Partito Repubblicano: molti esponenti storici hanno tifato i democratici nelle ultime elezioni.
Il quadro politico si ricompone in un nuovo binomio: non più il bipolarismo, ma la volontà di autoritarismo opposta allo Stato incardinato sulla separazione dei poteri. L’impianto democratico che aveva retto a scossoni come l’11 Settembre, non sembra avere gli anti-corpi contro l’incedere di un autocrate, neppure dopo i fatti del 6 Gennaio. Soprattutto nello scenario odierno: Trump, spinto da un movimento messianico, è appoggiato dalle Big-Tech del web; le quali, con la supremazia di social media e motori di ricerca, giganteggiano sulla stampa libera.
Musk è già il nuovo campione mangia-sistema, in simbiosi con Trump; gestisce la diffusione dell’informazione, essendo Twitter/X un estuario di notizie, e dalla sua posizione, al di là del bene e del male mediatico, influenza i discorsi pubblici in Occidente, estremizzandoli.
Gli strappi nel tessuto democratico americano sono profondi, con Trump sopravvissuto a due tentativi di assassinio ancora da elaborare; il passaggio di potere pacifico con Biden è illusorio – come avvelenato fu quello tra Obama e il magnate, con il Russiagate. A fine mandato, Joe Biden si è premurato di graziare: la Commissione d’inchiesta interparlamentare sul 6 Gennaio, partendo dall’ex senatrice Liz Cheney, repubblicana ostile a Trump; il Generale Mark Milley, ex Capo di Stato Maggiore, che osò negare i militari a Trump; il Dottor Anthony Fauci, che istruì un Trump riottoso sulle misure anti-pandemiche, ma che è invischiato nella probabile origine da laboratorio del Covid19. Infine, Biden ha perdonato la sua famiglia; incluso Hunter, condannato in processi in cui il famigerato lap-top fungeva da prova.
Anche l’ex Presidente George H. W. Bush, lasciando la Casa Bianca nel 1992, graziò i collaboratori in relazione agli scandali dell’Iran-Contra, di cui era perno; fu un atto per stroncare il corso della giustizia, più che per anticipare vendette del suo successore.
Trump ha definito i perdoni una disgrazia: “Quelle persone dovrebbero finire sotto inchiesta”, ha rimarcato, proponendosi di consultare il Congresso affinché la minaccia abbia seguito. Al Presidente non basta la vittoria: vuole imporre la propria “verità”; non a caso ha chiamato il suo social “Truth“.
Ecco quello che gli Usa devono affrontare: una crisi democratica, troppo grave per essere negata; e non esiste nessuna realtà alternativa.
di Cristiano Arienti
Fonti e link utili
Trump preps his voters for fraud claims before votes have been counted : NPR
Trump refuses to concede 2020 election: ‘Why would I do that?’ – YouTube
Supporters celebrate outside DC jail as Jan. 6 inmates released – January 22, 2025 | Reuters
Public views on Jan. 6 Capitol riot have softened, 4 years later – CSMonitor.com
https://x.com/politicalwilli/status/1349083364729360384
How Was Chairman Milley Able to Thwart President Trump? | Lawfare
Trump suggests Biden and those he pardoned should be investigated – POLITICO
CIA says COVID-19 more likely to have come from lab than nature | Reuters
Should We Blame Fauci for the COVID Pandemic?
Jan. 6 report leads to false claims of FBI setup | AP News