Rapporto dell’Ispettore Generale: ribaltato il Russiagate
Era partita come l’indagine capace di oscurare il Watergate; invece, per la fragilità, o l’infondatezza, dell’impianto accusatorio, il Russiagate ha ottenuto un record ben diverso: la profonda revisione del FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), il quarantennale quadro giuridico che permette alle autorità di tenere segretamente sotto controllo un cittadino americano sospettato di spionaggio.
E’ la conseguenza del Rapporto dell’Ispettore Generale del Dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, relativo all’avvio dell’indagine sulla presunta cospirazione fra la Campagna Trump e il Cremlino per condizionare le Presidenziali 2016. Nel Rapporto, pubblicato lo scorso 9 dicembre, sono state evidenziate falle procedurali, imprecisioni e omissioni, senza le quali difficilmente il Tribunale del FISA avrebbe autorizzato la sorveglianza di Carter Page. Si tratta di un membro della Campagna Trump sospettato di aver intavolato, nel luglio 2016, negoziati con i vertici del Cremlino per ottenere il sostegno russo. Quel sospetto venne spacciato dall’FBI attraverso lo Steele Dossier, raccolta di informazioni da parte dell’ex spia britannica Christopher Steele; ma al Tribunale non venne chiarito che il dossier era stato finanziato dalla Campagna di Hillary Clinton, avversaria di Trump, attraverso l’agenzia privata Fusion GPS.
Nel rapporto, Horowitz sottolinea come sullo Steele Dossier, definito “centrale ed essenziale” per la richiesta della sorveglianza, l’FBI non trovò conferme per tutto il 2016; e anzi lo sfruttò ancora nel gennaio 2017, nonostante una fonte primaria di Steele avesse smontato parti del Dossier: l’ex spia aveva gonfiato, storpiato, o addirittura inventato le sue confidenze. La stessa Cia si oppose all’inserimento dello Steele Dossier nell’ICA (Intelligence Community Assessment), ovvero il Rapporto presentato al Congresso nel gennaio 2017, in cui si delineavano i tentativi del Cremlino di interferire nelle elezioni Presidenziali: il dossier era stato bollato come “pettegolezzi raccolti su internet”. Questo non impedì che finisse nei briefing offerti dalla Comunità di Intelligence sia al Presidente in carica, Barack Obama, che al Presidente eletto, Donald Trump; a cui non venne svelata l’origine di “opposition research” del Dossier.
Carter Page non è mai stato indagato per i contenuti dello Steele Dossier; ma le sue comunicazioni, per quasi un anno, sotto state accessibili all’FBI.
L’Ispettore Generale ha constatato come l’FBI abbia addirittura falsificato i documenti presentati al tribunale della sorveglianza; in particolare un avvocato senior, Kevin Clinesmith, manipolò una email proveniente dalla Cia, in cui si spiegava che Page era stato un informatore dal 2008 al 2013; l’avvocato ne alterò il contenuto, con Page che risultava “non” essere mai stato una fonte di Intelligence. Quel dettaglio avrebbe potuto ostacolare la richiesta di sorveglianza per Page; che invece venne accolta nell’ottobre 2016, e reiterata per tre volte, fino al luglio 2017. Controfirmata dai vertici del FBI e del Dipartimento di Giustizia: dal Direttore James Comey, al suo vice Andrew McCabe, fino al Segretario alla Giustizia ad interim Sally Yates e il suo vice Rod Rosenstein.
Horowitz ha ravvisato 17 gravi episodi, più una trentina di infrazioni, commessi dai team che seguirono i vari rami del Russiagate, coinvolgendo i vertici che autorizzavano il prosieguo delle indagini. Un numero di errori così imponente per cui l’Ispettore Generale, in udienza al Congresso, non ha scartato l’ipotesi di pregiudizio nei confronti di Trump, prima come candidato, e poi come presidente. Una valutazione in accordo con un’altra indagine interna dell’Ispettore Generale, quella sull’Emailgate: alcuni ufficiali dell’FBI deviarono risorse dall’indagine sulla gestione di informazioni classificate da parte dell’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, destinandole al Russiagate; anche in quel caso Horowitz giudicò possibile il pregiudizio politico.
La Corte Federale che amministra il FISA, lo scorso 17 dicembre, ha emesso una nota in risposta all’ultimo Rapporto dell’Ispettore Generale: la Presidente Rosemary Collyer ha accusato i vertici FBI di “cattiva condotta”, e di aver ingannato la Corte; implicando l’illegalità della sorveglianza segreta su un membro della Campagna Trump.
Per questo motivo, nella nota, si invitava l’FBI a revisionare l’intero processo del FISA, e trovare soluzioni credibili per evitare in futuro abusi simili.
Una posizione ben più dura rispetto a quella dell’Ispettore Generale; il quale, sempre nel Rapporto, ha confermato la solidità procedurale per aprire “Crossfire Hurricane”: il nome dell’indagine ombrello sulle interferenze russe nelle Presidenziali, aperta a fine luglio 2016. Era partita dopo l’imbeccata del diplomatico australiano Alexander Downer all’FBI sulle presunte confidenze del professore maltese Joseph Mifsud al membro della Campagna Trump George Papadopoulos: “i russi avrebbero in mano materiali (o email) compromettenti sulla Clinton”.
La conclusione dell’Ispettore Generale è stata però contestata formalmente dal Giudice Federale John Durham, investigatore incaricato dal Segretario alla Giustizia Bill Barr di revisionare le origini di “Crossfire Hurricane”. Durham, che rispetto a Horowitz ha un mandato e mezzi molti più ampi, ha già conferito con le autorità di vari Paesi per comprendere meglio chi sia Joseph Mifsud, definito “agente russo” da Robert Mueller, Investigatore Speciale sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. In realtà Mifsud, oggi irreperibile, aveva contatti e collaborazioni professionali con figure di spicco dell’Intelligence britannica e della politica italiana. Il professore maltese, pur essendo stato interrogato dall’FBI, non è stato incriminato.
Secondo il Rapporto di Mueller, è Trump che sarebbe da incriminare per ostruzione alla giustizia: il Presidente Usa cercò di nascondere gli intrecci fra la sua Campagna, qualunque fosse la loro natura, e i russi. Il Segretario alla Giustizia Barr, però, non ha proceduto, spiegando che il Presidente ha l’autorità esecutiva di difendersi da accuse infondate e tendenziose. Infatti in due anni di inchiesta, Mueller non ha provato la cospirazione fra Trump e il Cremlino; è pur vero che membri della Campagna del Presidente Usa non si sottrassero ad approcci inquietanti: ma nessuno americano è stato condannato relativamente al Russiagate, se non per reati come false dichiarazioni all’FBI, od ostruzione alla giustizia. I motivi per cui George Papadopoulos ha trascorso 14 giorni in carcere, e Roger Stone, consigliere informale di Trump, è tutt’ora in prigione; mentre l’ex Generale Michael Flynn, il primo Consigliere alla Sicurezza dell’Amministrazione Trump, è in attesa della sentenza. Flynn, in realtà, ha recentemente chiesto di ritirare la sua dichiarazione di colpevolezza: ovvero, aver mentito all’FBI su un colloquio con l’Ambasciatore Sergej Kislyak, subito dopo il lancio delle sanzioni dell’Amministrazione Obama contro Mosca, alla fine del 2016; l’ex Generale si proclama vittima di pregiudiziali dell’FBI e del precedente governo emerse nel Rapporto Horowitz.
Da anni il Presidente Usa Donald Trump definisce l’inchiesta sul Russiagate “una caccia alle streghe”, chiamando gli ex vertici dell’FBI – quasi tutti licenziati o non confermati – “poliziotti cattivi” e “corrotti”: avrebbero agito per favorire l’elezione di Hillary Clinton; e minare la Presidenza Trump. Anche permettendo che lo Steele Dossier filtrasse alla stampa pochi giorni prima dell’insediamento alla Casa Bianca; quando era già stata messa in dubbio la credibilità dell’ex spia britannica.
Lo scorso 10 gennaio il Direttore dell’FBI Christopher Wray ha risposto all’invito della Corte del FISA, delineando una serie di riforme: d’ora in poi dovrebbe essere più difficile commettere gli abusi rilevati nel caso Page.
Il FISA era entrato in vigore nel 1978, ma l’FBI ne aveva mutato “de facto” la pratica con l’emergenza del post-11 Settembre: il Federal Bureau of Investigation, sotto la guida proprio di Robert Mueller, apriva indagini preliminari segrete su cittadini americani pur in assenza di un quadro probatorio criminale; l’anticamera di qualsiasi persecuzione di natura etnica-politica-religiosa.
E’ ironico che questa riforma avvenga durante l’Amministrazione Trump: un Presidente che più volte ha minacciato avversari politici, e ha ingiuriato gruppi etnici e religiosi; e il cui autoritarismo è visto come un rischio per la democrazia Usa. E’ il motivo per cui oggi è sotto processo al Senato: avrebbe abusato del suo potere per eliminare un candidato alla Casa Bianca, Joe Biden, in vista delle Presidenziali del 2020. Anche in questo caso, lo “scandalo Ucraina” viene dipinto come peggio del Watergate.
di Cristiano Arienti
Fonti e Link utili
https://www.umanistranieri.it/category/russiagate/
https://johnsolomonreports.com/
https://www.aclu.org/press-releases/aclu-report-documents-fbi-abuse-911
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