Russiagate: l’indagine è finita, ma lo scontro continua
“L’America è il posto migliore che c’è”. Questa è stata la battuta con cui il Presidente Usa Donald Trump ha accolto la fine del cosiddetto “Russiagate”; l’Investigatore Speciale Robert Mueller, dopo quasi due anni di inchiesta, “non ha stabilito che membri della Campagna Trump complottarono o si coordinarono con il Governo russo nelle attività di interferenza nelle elezioni presidenziali del 2016”.
Questa frase è inserita nella lettera che il Ministro alla Giustizia William Barr ha inviato ai Presidenti delle Commissioni Giustizia del Congresso, per annunciare il termine dell’indagine; ed è una citazione diretta del Rapporto finale di Mueller. L’indagine, iniziata nel maggio 2017, ha impiegato 19 legali, 40 agenti FBI, più una schiera di analisti forensi ed esperti di Intelligence; era partita pochi giorni dopo il licenziamento del Direttore FBI James Comey; una prova, secondo molti, che Trump stesse ostruendo una precedente indagine sulla collusione fra membri della sua Campagna e il Cremlino. Nel Rapporto finale, in effetti, Mueller aveva adombrato la possibilità di incriminazioni per questo reato; tuttavia Barr e il suo Vice, Rod Rosenstein, non hanno considerato sufficienti le prove per portare il caso davanti a una Corte.
Le valutazioni complete di Mueller non sono note; ma il Segretario alla Giustizia ha fatto intendere che il Rapporto verrà reso pubblico a metà aprile, con le dovute “censure”. Un passo richiesto dai Democratici, che sperano di trovare dettagli incriminanti per Trump, almeno a livello politico. I vertici del Partito, in particolare i membri della House Intelligence Committee, avevano sempre alluso a prove del complotto: Trump avrebbe fatto concessioni alla Russia in cambio di aiuti da parte del Cremlino per vincere le elezioni 2016 – nello specifico: finanziamenti, e pubblicazione di email della candidata Hillary Clinton, hackerate dall’Intelligence russa e diffuse da Wikileaks.
Nessun cittadino americano è stato incriminato per queste accuse. Vengono così scagionati Trump e i suoi familiari: in particolare il figlio Donald Trump Jr, che acconsentì d’incontrare alla Trump Tower l’avvocatessa russa Natalya Veselnitskaya, con il miraggio di materiale compromettente su Clinton; e il genero Jared Kushner, che dopo l’elezione mirava a creare negli Usa un canale di comunicazione segreto con il Cremlino. Vengono sollevati dai sospetti anche i collaboratori della sua Campagna che in questi due anni sono stati condannati o indagati.
- Michael Flynn, Consigliere alla Sicurezza Nazionale, è stato condannato per falsa testimonianza all’FBI riguardo ai contatti con l’Ambasciatore russo Sergej Kislyak.
- Paul Manafort, ex Capo Campagna di Trump, è stato condannato per precedenti reati finanziari. Insieme a lui, anche il suo braccio destro, e collaboratore della Campagna Trump, Rick Gates.
- George Papadopoulos, ex consigliere energetico della Campagna Trump, è stato condannato per falsa testimonianza all’FBI; ne esce così “ripulito” anche l’uomo da cui era partita, il 31 luglio 2016, Crossfire Hurricane, l’indagine sulla collusione fra il Governo russo e la Campagna Trump.
- Michael Cohen, ex avvocato di Trump, è stato condannato per violazione dei finanziamenti alla Campagna, e per aver mentito al Congresso sul progetto di costruire la Trump Tower a Mosca.
- Carter Page, ex Consigliere alla politica estera della Campagna Trump, pur sottoposto a FISA (indagato come agente russo sul suolo americano), non è stato incriminato.
- Jeff Sessions, ex Ministro alla Giustizia, era stato costretto a ricusarsi dall’indagine sul Russiagate a causa di incontri con l’Ambasciatore russo Kislyak; non è stato incriminato.
- Roger Stone, consigliere informale della Campagna Trump, è stato incriminato da Mueller per falsa testimonianza al Congresso. I suoi contatti con Guccifer2 (per Mueller il fronte russo che hackerò le email di Clinton), e con Wikileaks (che le pubblicò), non sono ritenuti prova di collusione.
L’organizzazione di Assange viene descritta come “intermediario”, ma è sollevata dall’accusa di aver complottato con il Governo russo. Il Segretario alla Giustizia ha infatti precisato che non c’è nessun’altra incriminazione, nemmeno “sigillata”.
La cospirazione Putin-Assange-Trump era nata nel luglio 2016, subito dopo il DNCleak, con le dichiarazioni di Robbie Mook, stratega della Campagna Clinton; ed è stata arricchita di mese in mese con ricostruzioni mediatiche sensazionalistiche. E sostenuta da figure come l’ex Direttore della Cia John Brennan, il quale ha accusato il Presidente Usa di essere nelle mani di Vladimir Putin per interessi personali, o perché compromesso e ricattabile. Era stato Brennan ad avviare una task-force governativa, nell’aprile 2016, per contrastare l’interferenza russa nelle elezioni; e fu lui a comunicare ai vertici delle Commissioni di Intelligence del Congresso, nell’agosto 2016, che il Cremlino stava infiltrando la Campagna Trump.
Secondo Barr, nel Rapporto di Mueller viene specificato che i russi offrirono aiuto a membri della Campagna Trump, ma venne rigettato.
E’ chiaro, però, che in tale scenario, ogni mossa distensiva della Casa Bianca verso la Russia venisse accolta con indignazione.
Lo stesso Trump, tuttavia, ha dato fiato alla “teoria della collusione”, lodando ripetutamente Vladimir Putin. Nel luglio 2016, l’allora candidato repubblicano pretese di eliminare dalla Piattaforma programmatica del Partito gli armamenti all’Ucraina, in guerra con i separatisti del Donbass sostenuti da Mosca; e durante un comizio “chiese” ai russi, provocatoriamente, di hackerare le email della Clinton. O nel luglio 2018, quando in conferenza stampa congiunta con il Presidente russo, affermò di non credere all’Intelligence americana sull’interferenza del Cremlino nelle elezioni 2016; confermata, per altro, dal Rapporto di Mueller. O nel maggio 2017, quando Trump prima licenziò il Direttore FBI Comey, che indagava sulla presunta collusione, e il giorno dopo accolse alla Casa Bianca il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e l’Ambasciatore Kislyak. In quelle ore scattò sul Presidente degli Stati Uniti un’indagine di contro-spionaggio dell’FBI, lanciata dal Direttore ad interim Andrew McCabe: per appurare che il Presidente Usa non stesse operando per conto di Mosca.
Questa distorsione fra poteri era nata da una “confidenza” che George Papadopoulos, analista della campagna Trump, aveva ricevuto dal professore maltese Joseph Mifsud, nell’aprile 2016: il Cremlino ha email compromettenti su Hillary Clinton. Mifsud, indicato dall’Investigatore Speciale come “agente russo” e oggi irreperibile, sarebbe in realtà un asset dell’Intelligence occidentale, viste le sue connessioni con gli apparati britannici e italiani. Papadopoulos, definitivamente scagionato dall’accusa di aver complottato con i russi, oggi si dice vittima di una trappola da parte di chi non voleva Trump alla Casa Bianca.
Del resto Peter Strzok, l’ufficiale FBI che aprì l’indagine su Papadopoulos, (dopo aver chiuso l’Emailgate sulla Clinton), definì il Russiagate come una “polizza assicurativa” nel caso Hillary avesse perso. La candidata democratica aveva collegato Trump agli hacker russi 5 giorni dopo l’avvio di Crossfire Hurricane, a tre mesi dal voto.
La pretesa veridicità del Russiagate si trovava nello “Steele Dossier”; una serie di memo compilati da Christopher Steele, ex spia britannica, in un’operazione di “opposition research” finanziata dalla Campagna Clinton; e confluita, nel luglio 2016, nelle indagini FBI. Per tutta l’estate ufficiali del Dipartimento di Stato, del Dipartimento di Giustizia, e membri dell’Intelligence Usa, vennero a sapere del Dossier. Pur in assenza di prove, non sorsero problemi sulla consistenza delle accuse; filtrate da Steele alla stampa già dal settembre 2016. Il dossier finì sulla scrivania di Obama all’inizio del gennaio 2017, e fu oggetto di un dibattito: cosa svelare a Trump? Il Direttore FBI Comey informò il neo-Presidente solo sulla gravità delle accuse, senza precisare che non c’erano riscontri, e che a finanziarlo era stata la Clinton. Questo dettaglio venne taciuto anche quando il Dossier fu pubblicato da BuzzFeed, a dieci giorni dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca.
Le accuse nello “Steele Dossier” non sono state comprovate nemmeno da Mueller; altrimenti avrebbero generato ben altro tipo di incriminazioni. Tuttavia è stata la faretra alla quale, per due anni e mezzo, i media americani hanno attinto per colpire Trump; l’accusa di collusione è stata la freccia che ha inchiodato i tentativi del Presidente Usa di intavolare aperture politiche e strategiche con la Russia.
Il “Russiagate” insomma, appare sempre di più come un disegno politico per tenere sotto tiro un Presidente osteggiato non solo dai Democratici, ma inizialmente anche da larga parte del Partito Repubblicano; oltre che dalla comunità di Intelligence – Brennan ha definito Trump un pericolo per la sicurezza nazionale.
Questo disegno sta venendo a galla anche con il caso dei coniugi Ohr: Nellie, ex ufficiale Cia, lavorava per FusionGPS per fare “opposition research” su Trump; si tratta della stessa agenzia che supervisionava lo Steele Dossier, e collaborava con la Veselnitskaya, l’avvocatessa del famigerato incontro alla Trump Tower. Il marito Bruce Ohr, ufficiale del Dipartimento di Giustizia, si attivò perché le accuse di Steele – e forse della moglie – finissero nelle indagini FBI.
Oggi i Repubblicani sono allineati sulle posizioni di Trump: e alcuni esponenti vogliono perseguire chi avrebbe “costruito” il “Russiagate”. Persino chi era era fra i suoi più accesi critici, come il Governatore del Texas Ted Cruz e il Senatore Lindsey Graham, oggi difendono il Presidente Usa. E sono dalla sua parte anche fedelissimi dei Bush: come il Giudice della Corte Suprema Brett Kavanaugh, e l’attuale Segretario alla Giustizia William Barr.
Barr ricoprì questo ruolo nell’ultimo periodo dell’Amministrazione Bush Senior, e gestì il perdono a personaggi implicati nello scandalo Iran-Contra; evitò così allo stesso Presidente Bush, il “padrino” di quell’operazione illegale, un coinvolgimento negli eventuali processi.
Per questo i Democratici considerano Barr come uno strumento nelle mani di Trump: per uscire indenne dalle accuse di legami con i russi; alcune non sono evaporate con il termine dell’indagine sul Russiagate. Sono ancora in corso processi nati con l’inchiesta di Mueller; e Corti distrettuali stanno indagando su presunti finanziamenti illeciti alla Campagna Trump, e alla Trump Organization. Ad essi vanno aggiunte le varie inchieste congressuali, che vanno avanti.
Per il Presidente Usa, però, la mancata incriminazione nell’inchiesta del Russiagate, da lui definita una “caccia alle streghe”, diventa uno scudo nello scontro con i Democratici, in vista delle elezioni presidenziali 2020. Tuttavia, l’idea che l’America sia “il posto migliore che c’è”, non è ispirata dall’esito del Russiagate; ma dalla calma apparente con cui i cittadini stanno reagendo a una vera guerra politica e istituzionale.
di Cristiano Arienti
Fonti e Link utili
https://www.umanistranieri.it/category/russiagate/ Articoli sul Russiagate di UmaniStranieri
https://www.umanistranieri.it/?s=emailgate Articoli sull’Emailgate di UmaniStranieri
https://video.sky.it/news/mondo/russiagate-papadopoulos-litalia-indaghi-sul-prof-mifsud/v499120.vid Intervista a George Papadopoulos di SkyTG24