Julian Assange, il condannato senza processo
“Un megalomane autistico e un pervertito sessuale”. Così Julian Assange viene descritto in Purity, di Jonathan Frenzen. Un giudizio spietato sul cittadino australiano; ma il venerato scrittore Usa è andato oltre: nel romanzo uscito nel 2015, ha costruito uno dei protagonisti, Andreas, ispirandosi al fondatore di Wikileaks. Andreas è a capo della Sunlight Project – molto simile alla Sunshine Press Production, entità giuridica di Wikileaks; dalla Colombia, dove si è rifugiato, dirige la pubblicazione di documenti segreti di multinazionali e governi: proprio come l’Assange vero, rifugiatosi nell’Ambasciata dell’Ecuador dal 2012. L’antagonista di Andreas è un editore che investe soldi ed energia in un giornalismo d’inchiesta etico e libero; un modello opposto a Wikileaks, secondo Frenzen. Un giudizio oggi condiviso da molti detrattori di Assange: quell’organizzazione era solo una piattaforma di “fonti” anonime, che con il tempo si è trasformata in un attore politico anti-americano; peggio, in un braccio del Cremlino, con lo scandalo del Russiagate.
Questa immagine ha preso corpo dal 2010-2011, quando Wikileaks iniziò a pubblicare i documenti senza l’esclusiva mediazione di altre testate. Un editore, secondo Assange, esercitava la discrezionalità di selezionare o censurare informazioni di interesse pubblico, anche sul piano etico e storico. Invece è necessario pubblicare tutto, al netto di redazioni per proteggere persone esposte a pericolo; solo così i cittadini possono costruirsi un’opinione informata. E senza la “guida” di un intermediario come Bill Keller, il Direttore del New York Times, a sua volta sotto pressione di un’autorità superiore. Nel libro Open Secret Keller, parlando della partnership con Wikileaks, ha ammesso: la pubblicazione nel 2010 dei War Logs, che documentavano i crimini di guerra Usa in Afganistan e Iraq, era avvenuta in concerto con le più alte sfere della politica e dell’Intelligence americana. E dopo aver definito Assange instabile e inaffidabile, l’ex Direttore del New York Times riduceva Wikileaks al pari di una fonte.
Non era così: la fonte vera dei War Logs era l’analista dell’esercito Bradley Manning – oggi Chelsea – condannato a 35 anni di carcere. Manning aveva filtrato migliaia di documenti classificati attraverso la piattaforma on-line messa a disposizione da Wikileaks. Infatti gli Stati Uniti, almeno ufficialmente, non hanno mai incriminato l’organizzazione di Assange per i War Logs, proprio per il “problema New York Times“: in fondo il prestigioso quotidiano aveva pubblicato quegli stessi documenti filtrati ad Assange in forma anonima.
Per questo la recente scoperta che pende un “sealed indictment” su Assange – incriminato senza che lui o i suoi legali siano stati avvertiti – ha sollevato timori: processare il fondatore di Wikileaks per la diffusione di documenti privati o classificati, ma di pubblico interesse, minaccia il giornalismo negli Stati Uniti. Come se il Direttore del New York Times, nel 1971, fosse stato condannato per la pubblicazione dei Pentagon Papers, che svelarono l’estensione della guerra Usa in Indocina. Infatti i protagonisti di quel leak, la fonte Daniel Ellsberg e John Goodale, legale del quotidiano, difendono Julian Assange: non può essere processato per l’Espionage Act, che proibisce di intralciare operazioni militari degli Stati Uniti; perché si andrebbe contro il 1° Emendamento della Costituzione, che protegge la libertà di stampa. Un diritto che non deve mutare solo perché le fonti documentali, grazie alle innovazioni tecnologiche, sono più facilmente reperibili e consultabili. L’inchiesta Panama Papers del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ), si è avvalsa di 11,5 milioni di documenti filtrati da una fonte anonima alla Suddeutsche Zeitunge; nessuno ha avanzato la proposta di incriminare il quotidiano tedesco.
In questo senso Wikileaks, nata nel 2006, è stato un progetto pionieristico; non a caso ha ricevuto numerosi riconoscimenti: per aver scoperchiato crimini di guerra negati, e schemi corruttivi tenuti nascosti. La pubblicazione dei War Logs, però, l’ha messa nel mirino degli Stati Uniti: è in quel 2010 che l’Amministrazione Obama lancia un’indagine criminale sulla sua attività.
In realtà, visto che la rivelazione è avvenuta per errore, non si conoscono i motivi dell’incriminazione “segreta” pendente su Assange: potrebbe essere per l’aiuto a Edward Snowden, sfuggito all’arresto dopo aver svelato il programma Usa di sorveglianza di massa; o per il leak di un impiegato governativo, Joshua Schulte, il quale ha filtrato a Wikileaks manuali di guerra cibernetica della Cia.
Non si sa nemmeno quale organo abbia emesso l’incriminazione: se un grand jury, per cui un processo inizierebbe non appena Assange venisse estradato negli Usa; o il Dipartimento di Giustizia, per cui i tempi sarebbero più incerti.
E si ignora se l’incriminazione dell’Amministrazione Trump sia l’unica, o ne esistano altre.
In una comunicazione del think tank Stratfor, pubblicata da Wikileaks insieme ad altre 5 milioni di email, l’ex ufficiale del Dipartimento della Difesa Fred Burton spiegava: è già pronta una incriminazione segreta per Assange. L’email era del gennaio 2011; un mese prima il fondatore di Wikileaks era stato arrestato a Londra, su mandato di un tribunale di Stoccolma, per l’accusa di stupro; in contemporanea con il lancio dell’indagine negli Usa.
Nel giugno 2012 Assange, rilasciato su cauzione, si vide respinto dalla Corte Suprema britannica l’appello contro l’estradizione in Svezia. Così, per evitare una estradizione negli Usa via Stoccolma, si rifugiò nell’Ambasciata dell’Ecuador, chiedendo asilo politico. Le autorità della Gran Bretagna spiccarono subito un ordine di cattura nei confronti di Assange, sottrattosi all’obbligo di firma per la libertà vigilata.
Sono passati 6 anni: le denunce per stupro sono cadute nel vuoto per inconsistenza. Grazie all’infaticabile lavoro della giornalista di Repubblica Stefania Maurizi, oggi sappiamo che i giudici svedesi intendevano chiudere il procedimento già nel 2013; in realtà, a causa delle pressioni delle autorità britanniche, ciò è avvenuto solo nel maggio di quest’anno; nonostante un Arbitrato delle Nazioni Unite, nel 2016, avesse condannato Svezia e Gran Bretagna per la detenzione arbitraria di Julian Assange.
Il fondatore di Wikileaks, ancora oggi, non si azzarda a uscire dall’Ambasciata: verrebbe arrestato e, ora è certo, estradato negli Usa: dove rischierebbe decenni di carcere. Se da 6 anni è rinchiuso in un edificio senza alcuna formale incriminazione, da 6 mesi vive senza accesso a internet, e con una ristretta finestra per incontrare i legali. Le sue condizioni di salute, fisica e mentale, sono ormai molto precarie. La situazione per Assange è peggiorata dal 2017, quando Lenin Moreno è stato eletto Presidente dell’Ecuador. Moreno ha fatto più volte intendere che potrebbe ritirare l’asilo politico, consegnando Assange agli Stati Uniti.
Sotto l’Amministrazione Trump, Washington si è fatta molto più aggressiva: il Segretario di Stato Mike Pompeo ha definito Wikileaks un’Intelligence non-governativa ostile, al pari di un gruppo terroristico. Il Presidente, rispetto all’incriminazione, ha affermato di non sapere molto del caso legale di Assange; strana ricompensa – seguendo la logica di chi vede una coordinazione fra Russia, Wikileaks e Trump – per l’uomo che ha contribuito alla sconfitta di Hillary Clinton. Secondo l’Investigatore Speciale Robert Mueller, Wikileaks pubblicò le email della Campagna Clinton (DNCleak e Podestaemail), dopo che erano state hackerate dai servizi segreti russi. A tutt’oggi, come ha dichiarato Jennifer Robinson, legale di Assange, l’Investigatore Mueller non ha mai contattato Wikileaks.
L’incriminazione contro gli hacker russi, per altro, presenta alcune incongruenze; e rimane ancora incerto chi, e come, filtrò le email a Wikileaks. Lo stesso Assange ha più volte negato di aver ricevuto i corpi del DNCleak e delle Podestaemail da un’agenzia governativa. Per allontanare da sé il sospetto di una collaborazione con la Russia, ha perfino alluso che dietro al DNCleak vi fosse Seth Rich, un funzionario del Partito Democratico assassinato il 10 luglio 2016. Una mossa, in mancanza di prove, che ha attirato nuove e dure critiche su Assange. Ormai è inviso anche fra chi un tempo lo difendeva, o ammetteva che il DNCleak e le Podestaemail offrano materiale di pubblico interesse: perché hanno mostrato come il Partito Democratico avesse affossato la candidatura di Bernie Sanders; e fatto emergere lo schema corruttivo della Clinton Foundation – la quale ha visto le donazioni drasticamente calare con i Clinton fuori dalle stanze dei bottoni. Questo, secondo i critici di Wikileaks non toglie la brutalità di pubblicare comunicazioni private; e che lo scopo dei leak fosse politico: ottenere, con Trump alla Casa Bianca, un diverso atteggiamento degli Usa nei confronti di Assange e del Cremlino.
Ecco perché Wikileaks è accusata di essere un braccio dell’Intelligence russa. Eppure, con le sue collaborazioni e pubblicazioni, ha mostrato il lato oscuro o segreto del potere; non solo negli Stati Uniti, ma un po’ ovunque: dalla Turchia all’Arabia Saudita, dalla Siria all’Unione Europea; dal Kenya alla Russia stessa. Ha offerto squarci di verità anche rispetto all’Italia, attraverso cabli e email di varie pubblicazioni: l’Italia di ieri, di Moro e Andreotti; e quella di oggi, di Berlusconi, Letta e Renzi; l’Italia delle multinazionali, come Eni; o di società come Hacking Team, che collabora alla sorveglianza di massa in Stati repressivi.
L’ostilità si manifesta anche con la reiterazione dell’accusa ad Assange di stupro, da tempo caduta nel vuoto. E’ come se fosse già stato condannato per reati che non ha commesso, o la cui responsabilità non è ancora dimostrata. Si trovano ancora autorevoli voci in difesa di Assange: da Noam Chomsky a Kenneth Roth di Human Right Watch, da Roger Waters alla American Civil Liberties Union; e convergono su un punto, enunciato da Glenn Greenwald di The Intercept: processare Wikileaks perché pubblica documenti ottenuti senza autorizzazione, significa attaccare la libertà di stampa; significa imbavagliare un giornalismo scomodo, perché non fa sconti al potere, o a chi vorremmo eleggere; ma è un modo legittimo di fare informazione.
di Cristiano Arienti
In copertina: Julian Assange
Link utili
https://www.umanistranieri.it/2017/05/russiagate-wikileaks-e-la-dimensione-parallela-di-seth-rich-parte-12/ (CRONOLOGIA RUSSIAGATE/EMAILGATE)
https://www.umanistranieri.it/category/russiagate/ Articoli sul Russiagate
https://www.repubblica.it/esteri/2018/11/17/news/julian_assange_tutto_quello_che_c_e_da_sapere_sulla_sua_incriminazione_negli_usa-211916838/
http://espresso.repubblica.it/internazionale/2016/09/01/news/p-margin-bottom-0-21cm-dove-nasce-la-guerra-del-new-york-times-contro-wikileaks-1.281785
https://theintercept.com/2018/11/16/as-the-obama-doj-concluded-prosecution-of-julian-assange-for-publishing-documents-poses-grave-threats-to-press-freedom/
La persecuzione di Julian Assange deve finire. O finirà in tragedia