Non lasciarmi, etica della scienza

Alla fine è successo: hanno clonato un primate, l’ordine animale a cui appartiene anche l’uomo moderno. La grande muraglia etica è stata abbattuta in Cina, presso l’Istituto di Neuroscienze, Pechino. Il team guidato da Zhen Liu ha estratto da una coltura cellulare di macachi 179 nuclei con inclusa mappa di DNA, inserendoli in uova poi impiantate in madri surrogate; è il Trasferimento di Cellule Nucleari Somatiche, la stessa tecnica con cui venne creata la pecora Dolly, il primo mammifero clonato nel 1996 al Roslin Institute di Edimburgo, Scozia.

Le due scimmiette Zhong Zhong e Hua Hua sono gli unici sopravvissuti della nidiata creata in vitro: strabuzzano i loro occhioni mentre le lenti delle macchine fotografiche ne immortalano i primi passi; e registrano il gigantesco balzo della scienza e della tecnica, che ci porta diretti nell’anticamera della clonazione umana, finora esplorata solo dalla fantascienza. Tuttavia non è quello letterario-artistico il punto da cui si stanno osservando i due piccoli macachi; come era accaduto, ad esempio, proprio per la pecora Dolly. Lo ha spiegato lo scorso 28 settembre, presso il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, la giornalista Valentina  Murelli, aprendo il dibattito “Può esistere la scienza senza etica?”.

“E’ cambiata la percezione dell’opinione pubblica sul tema della clonazione: i riferimenti sono per lo più in ambito scientifico, cioè che tipo di progresso è stato ottenuto, e quali sono le possibili applicazioni: come ad esempio lo studio delle malattie neurogenerative”. Che poi era l’obiettivo di chi ha condotto la ricerca sui macachi in Cina: il team di Zhen Liu ha escluso futuri esperimenti sulla clonazione umana, ma dichiara di voler perfezionare cure in malattie come l’alzheimer, o il parkinson. Dalla Cina, insomma, giungono vedute tranquillizzanti anche in campo etico; quando a gennaio la prestigiosa rivista Cell pubblicò la ricerca, in molti temevano risvolti imprevedibili di un balzo forse troppo in avanti degli scienziati cinesi.

A buttare acqua sul fuoco è Yvan Torrente, Professore di Neurologia alla Statale di Milano: la reale fattibilità di una clonazione umana è comunque lontana, proprio per via della tecnica utilizzata per creare i macachi. Ma la vera domanda è: a cosa servirebbe clonare un essere umano in vitro? Esistono altre sperimentazioni all’avanguardia nella lotta contro le malattie neuro-degenerative: come ad esempio le ricerche del team di Shinya Yamanaka sul ringiovanimento delle cellule attraverso la conversione alle staminali. Sul piano applicativo, è la “riprogrammazione”, più che la clonazione, la vera frontiera scientifica da conquistare: scoprire cosa è tossico per le nostre cellule, o cosa serve per migliorarne il ciclo vitale. L’obiettivo è capire come modulare il destino della cellula, eliminando i geni malati e preservando quelli sani; fino ad arrivare alla riparazione dei tessuti.

Torrente offre rassicurazioni anche sul piano etico: ogni progetto viene setacciato da comitati scientifici che erogano finanziamenti e mettono a disposizione strutture. E’ improbabile coltivare una sperimentazione sulla clonazione umana senza luci verdi dall’alto, e soprattutto senza scatenare un dibattito pubblico. Anche se, concede il professore della Statale, in Cina le ricerche vengono portate avanti in modo controverso: non c’è tutta questa fiducia nei controlli protocollari delle sperimentazioni.

Nel 2017 il mondo accademico cinese è stato investito dallo scandalo delle pubblicazioni scientifiche falsate; si è materializzato il sospetto che il processo di convalida non sia così limpido: per la manomissione dei risultati, e la manipolazione dei procedimenti sperimentali.

La ricerca condotta sui macachi è stata pubblicata da Cell, rivista scientifica statunitense. Questo però non ha bloccato le perplessità: il team di Zhen Liu, supportato dall’Accademia delle Scienze cinese, ha semplicemente ripreso la tecnica per creare Dolly, e l’ha sperimentata sui primati. E solo dopo l’annuncio dei risultati Qiang Sun, supervisore della ricerca, ha caldeggiato una discussione all’interno della comunità scientifica, su quale pratica sia lecita o meno nella clonazione di primati non-umani. Ha puntualizzato che l’operazione è avvenuta entro le rigide linee guida internazionali stabilite dalla US National Institutes of Health; ma è chiaro che la Cina è ormai completamente autonoma nella ricerca scientifica, con laboratori all’avanguardia in competizione con quelli Occidentali. Questo è possibile, come ha specificato Yvan Torrente, per una enorme disponibilità economica, che permette larghi investimenti nei progetti più svariati; che non devono per forza acquisire risultati immediati o profitti. E’ prerogativa del “sistema” stabilire quali ricerche siano da finanziare; e la Cina opera secondo logiche diverse da quelle nate, se vogliamo, con l’Umanesimo quattrocentesco. E’ il concetto espresso da Mauro Magatti, docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano: per la prima volta un’altra cultura si è impossessata del timone nella ricerca scientifica; e a Pechino esiste un’idea di etica diversa rispetto a Londra, New York, Bruxelles. Un’etica, così ci piace pensare, che metta al primo posto l’individuo come insieme di corpo, psiche, spiritualità, relazioni. In Cina, è risaputo, al primo posto c’è lo Stato. Il rischio, secondo Magatti, è che un’idea di scienza senza barriere etiche porti alle estreme conseguenze la capacità di astrazione rispetto alla realtà di un essere umano; protetto, in occidente, da leggi perfezionate nel corso di secoli.

Leggi che ci vietano, ad esempio, di accettare la pratica tutta cinese di espiantare organi ai condannati a morte, prima dell’esecuzione. In questo caso le operazioni sono pianificate a livello statale; e se un dibattito etico c’è stato nella comunità scientifica locale, il risultato ci appare disumano.

Magatti, quindi, pone un quesito: chi governa la conoscenza? Lo scienziato? Il sistema? O l’equilibrio fra ricerca scientifica e ricerca interiore come individui, unita alla riflessioni su chi siamo come società? Premettendo che portare avanti la ricerca è in sé etico, perché il fine è il miglioramento della condizione umana, il docente espone i rischi di uno Stato che decide cosa debbano fare gli scienziati. Uno Stato che non ha timore di programmare la società al di là dei diritti, ma anche delle aspirazioni, dei cittadini. Fino a pochi anni fa in Cina vigeva la politica del “figlio unico”, che ha sconvolto la vita di una generazione di genitori.

Perciò nel caso della clonazione di primati, il richiamo ai comitati etici all’occidentale, vigilati dai governi, e accessibili all’opinione pubblica, vacilla: di fronte si staglia uno Stato centrale cinese capace di dettare politiche impopolari su temi così delicati come la genitorialità, o la donazione degli organi.

Chi critica questa analisi è Gilberto Corbellini, docente di Bioetica all’Università Sapienza di Roma: si dà per scontata una superiorità dell’Occidente in un campo in cui, presto, i Paesi asiatici la faranno da padroni, e non solo per la disponibilità economica. Studi proverebbero un aumento generalizzato dell’intelligenza, intesa come capacità di elaborazione, negli studenti della Corea del Sud, o Giappone e Cina; alla quale corrisponde una decadenza inarrestabile nelle “nostre” scuole. E non va sottovalutata la capacità di auto-regolamentazione degli scienziati in campo etico, visto che il primo postulato della scienza è l’oggettività. Che male ci sarebbe, si chiede Corbellini, approfondire le ricerche sulla clonazione umana a scopo riproduttivo? In fondo l’opinione pubblica, spesso, non è nemmeno in grado di comprendere appieno le implicazioni della ricerca scientifica. Basti ricordare le posizioni sulla fecondazione assistita, in preparazione dei quesiti referendari del 2005; alcune avrebbero vietato la riproduzione allo stadio cellulare, arrestando di fatto la ricerca biologica. La maggior parte dei cittadini non sarebbe nelle condizioni di condividere la visionarietà di certe ricerche, con applicazioni fondamentali per il benessere degli esseri umani. Tanto più che le sperimentazioni di mostri sacri della medicina, basti pensare a Louis Pasteur, ai nostri giorni verrebbero considerate crimini; mentre oggi la ricerca non ha certo la libertà dei secoli scorsi. Nemmeno in Cina, visto che si parla di un Paese pronto a mettere in comune le scoperte in campo scientifico, e quindi sottoponibili a scrutinio.

Fra l’altro parlare di superiorità può apparire anacronistico: ogni anno in Occidente vengono tolti dal commercio medicinali tossici o pericolosi; senza contare procedure davvero criminali come gli esperimenti sulla sifilide nella popolazione maschile afroamericana negli Stati Uniti; o l’esposizione alla radioattività in pazienti inconsapevoli.

Non va dimenticato, però, che un’opinione pubblica informata aiuta a correggere gli errori, e prevenire gli orrori, della ricerca scientifica; anche alzando l’asticella etica su sperimentazioni con un impatto non solo sulla nostra salute, ma anche sullo spirito del nostro tempo.

Per questo la vista di Zhong Zhong e Hua Hua ci fa strabuzzare gli occhi: i due piccoli macachi impongono domande che oltrepassano la scienza; ci interrogano su chi siamo, cosa stiamo facendo, e dove siamo diretti. E in parallelo, siamo di fronte ad altre domande, stavolta sulla Cina: chi sta stringendo il timone che dirige la scienza e la tecnica? Cosa stanno facendo? Dove sono diretti?

Magatti, in chiusura del suo intervento, ci offre anch’egli una rassicurazione: “L’essere umano è resiliente, e intelligente; quindi ce la faremo, anche se è molto difficile”.

di Cristiano Arienti

In copertina: Zhing Zhong e Hua Hua

Fonti e Link utili 

http://english.cas.cn/head/201801/t20180123_189488.shtml (Comunicato della Chinese Science Academy)

Abbiamo clonato due macachi. E ora?

https://www.reuters.com/article/us-science-cloning-monkeys/chinese-scientists-break-key-barrier-by-cloning-monkeys-idUSKBN1FD2FF

Non lasciarmi, umanità

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