Russiagate: genesi ed evoluzione di una crisi istituzionale
Il 14 giugno 2016, sul Washington Post, rimbalza una notizia: i server del DNC (Partito Democratico) nei mesi scorsi sono stati penetrati da hacker russi. E’ il primo fuoco d’artificio del Russiagate. La fonte dello scoop è Crowdstrike, società di cyber-security ingaggiata dal DNC a maggio per far fronte a quell’attacco informatico.
Tre giorni prima Julian Assange, fondatore di Wikileaks, aveva annunciato: pubblicheremo presto materiale compromettente sulla candidata democratica Hillary Clinton.
Il 15 giugno Crowdstrike rende nota un’analisi tecnica: l’hackeraggio è stato condotto da ATP28 e ATP29, due tipologie di attacco cibernetico di stampo russo.
Il giorno stesso il sedicente hacker rumeno Guccifer2 comparì sulla scena sbandierando al mondo: sono io l’hacker del DNC. Un’autodenuncia completa di copia-incolla di alcuni documenti attraverso font in russo; Guccifer2 venne quasi subito identificato come un’operazione russa, sebbene avesse usato attacchi informatici non contemplati nell’analisi di Crowdstrike. Un dettaglio messo in ombra da un’altra rivelazione: il sedicente hacker rumeno dichiarò di collaborare con Wikileaks; e di aver consegnato all’organizzazione di Assange il corpo del DNCleak, pubblicato il 22 luglio 2016.
Wikileaks, perciò, era ormai considerata un braccio dell’Intelligence russa. Tanto che il Direttore della Campagna Clinton, Robby Mook, subito dopo il DNCleak accusava la Russia di interferire nelle elezioni; lo scopo, far eleggere il candidato repubblicano, Donald Trump.
A luglio 2016 lo spartito del Russiagate era scritto; rimaneva una questione: Trump è colluso con questa operazione?
George Papadopoulos, il professore maltese, e la partenza delle indagini
Anche a livello giudiziario le indagini, ufficialmente, scattano a fine luglio 2016. L’obiettivo coincide con quello del Partito Democratico e dei media: capire se la Campagna di Trump stia complottando con i russi per danneggiare Hillary Clinton.
Ma come sono partite queste indagini? Dopo il DNCleak, il diplomatico e politico australiano Alexander Downer passò all’FBI la seguente informazione: George Papadopoulos, membro della Campagna Trump, a maggio 2016 mi aveva confidato che la Russia possedeva email compromettenti sulla Clinton. L’accusa è: la Campagna di Trump era stata messa al corrente dell’operazione russa di hackeraggio del DNC, e di interferenza sulle elezioni presidenziali Usa.
Downer è stato leader del Partito Laburista australiano nel biennio 1994-1995, Ministro degli Esteri australiano dal 1996 al 2007, e dal 2014 è Ambasciatore Australiano a Londra per il Commonwealth. In passato organizzò una raccolta fondi da 25 milioni di $ per la Clinton Foundation,
Il 28enne George Papadopoulos, analista specializzato in energia e Medio Oriente, ha praticamente iniziato la sua carriera politica nel gennaio 2016, quando la Campagna di Ben Carson, candidato alle Primarie Repubblicane, lo assunse per riempire il vuoto sui temi in politica estera.
Carson si ritirò presto, e il curriculum di Papadopoulos venne girato alla Campagna di Trump: stavano selezionando esperti in politica estera. E’ stato Sam Clovis, ex Colonnello dell’Aviazione Usa e già Ispettore Generale del Comando di Difesa degli Stati Uniti, ad assumere il giovane analista.
A metà marzo Papadopoulos iniziò, in modo informale, ad occuparsi della Campagna di Trump; è in quel periodo che viene avvicinato da Joseph Mifsud, docente maltese con base in Gran Bretagna, il quale vanta connessioni con la politica russa, ma al tempo stesso è membro del ECFR (European Council of Foreign Relations). Ad aprile 2016, Mifsud avrebbe rivelato a Papadopoulos che la Russia era in possesso di email appartenenti a Hillary Clinton. Intervistato da Repubblica, il Professore ha negato la ricostruzione, puntualizzando di aver perfino versato soldi alla Clinton Foundation – effettivamente è presente nelle liste dei donatori.
Sia come sia, resta un caposaldo del Russiagate la seguente versione: durante una cena alcolica, Papadopoulos avrebbe riportato la confidenza di Mifsud a uno dei politici più potenti nel mondo anglosassone, Alexander Downer.
Peter Strzok, dall’Emailgate al Russiagate
Chi ha aperto l’indagine all’FBI, basandosi sulle dichiarazioni dell’Ambasciatore australiano, è stato Peter Strzok, all’epoca Vice-Direttore al Contro-spionaggio dell’FBI. Quella “voce da bar” supportava l’analisi di Crowdstrike sul coinvolgimento dei russi. A fine giugno 2016, infatti, Strzok aveva aperto un fascicolo sul crimine denunciato dal Partito Democratico, e documentato dall’azienda di cyber-security.
Si tratta dello stesso Strzok che proprio in quel periodo stava gestendo la fase finale dell’Emailgate, l’indagine sul server privato di Hillary Clinton; che si chiuse con una non incriminazione, nonostante il passaggio di informazioni classificate su canali non governativi fosse un reato. Proprio Strzok interrogò la Clinton a inizio luglio; revisionò perfino l’annuncio dell’allora Direttore FBI James Comey, in cui esonerava la candidata democratica non solo nella sostanza, ma soprattutto nella forma del linguaggio legale.
Una “predilezione” evidente dopo la pubblicazione da parte del Congresso Usa, a dicembre 2017, di messaggi privati fra Strzok e la sua collega/amante Lisa Page; fu in quella fase calda del 2016 che, oltre a mostrare disprezzo per Trump, arrivò a dire: “deve vincere lei”. E in un messaggio, per la precisione il 15 agosto 2016, l’ufficiale FBI alluse alla nascente indagine sul Russiagate descrivendola come “una polizza assicurativa nel caso, molto improbabile, che Trump vinca“.
Le cose sono andate diversamente: il Russiagate non ha influito sull’esito delle Presidenziali; la riapertura dell’Emailgate, a pochi giorni dalle elezioni, ha assestato il KO alla Clinton.
In seguito Strzok entrò nel team raccolto nel maggio 2017 da Robert Mueller, ex Direttore Fbi incaricato dal Dipartimento di Giustizia a indagare sull’interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali. Nell’agosto 2017 però, Mueller rimosse Strzok dal team; il motivo, si specula, è la scoperta dei messaggi con la sua collega/amante, che esponevano l’indagine ad accuse di pregiudizi contro Trump.
Strzok, lo Steele Dossier e Wikileaks
E’ appurato che fu Peter Strzok ad aprire ufficialmente l’indagine FBI sulle interferenze dei russi, a fine luglio 2016; tuttavia non è chiaro con quali prove. Le voci riportate da Downer non erano documentabili; le analisi di Crowdstrike rappresentavano una certezza, ma al tempo stesso una debolezza, perchè il DNC (Partito Democratico) aveva rigettato le richieste dell’FBI di esaminare i server “hackerati”.
Fine luglio, però, segna anche la redazione di quattro memo dell’ex spia britannica Christopher Steele, ingaggiato dalla società di ricerca Fusion GPS per indagare sulle connessioni fra Donald Trump e i russi. In gergo, si tratta di “opposition research“: Fusion GPS pagava l’attività di Steele, ma i fondi provenivano dallo studio legale Perkins Coie, per conto della Campagna Clinton e del Partito Democratico.
Il 1° dei 17 memo dello Steele Dossier venne redatto il 20 giugno 2016: Trump, secondo le fonti dell’ex spia britannica, sarebbe stato “coltivato” dai russi nei precedenti cinque anni, e in particolare durante il viaggio del magnate a Mosca, nel novembre 2013. Dal Cremlino, poi, Donald Trump avrebbe ricevuto spionaggio sulla candidata democratica. Accuse senza prove documentali; condite da rumors sulle perversioni sessuali di Trump, filmate dall’Intelligence russa.
In quel memo il candidato repubblicano viene descritto come un manchurian candidate, per giunta ricattabile, nelle mani di Putin – una visione, oggi, condivisa da molti americani.
Come spiegato in un ritratto del New Yorker, Steele, ex agente del MI6, giudica le notizie raccolte così gravi, che il 5 luglio 2016 si presenta da Michael Gaeta, agente FBI con cui aveva già collaborato per smascherare l’intreccio corruttivo fra Russia e Fifa (Federazione Internazionale di Calcio). All’agente, Steele denuncia le connessioni segrete fra Trump e il Cremlino. Così l’ex spia britannica diventa anche informatore dell’FBI, oltre che un “detective” privato pagato dalla Campagna Clinton.
Il fascicolo aperto a causa delle informazioni di Steele fu sottoposto, nelle prime settimane di luglio, proprio al Vice-Direttore al Controspionaggio dell’Fbi Peter Strzok, incaricato di verificarne la solidità – un processo che dura circa 60 giorni.
E’ il 19 luglio quando Steele redige un 2° memo: un membro della Campagna Trump avrebbe ammesso che dietro alle pubblicazioni di Wikilieaks ci sarebbe il Cremlino. Molti si sono domandati: si parla di Papadopoulos?
Tre giorni dopo, pubblicizzata da tempo, ecco la pubblicazione del DNCleak; un colpo durissimo al Partito Democratico: salta fuori che la candidatura di Hillary Clinton era blindata già dal 2015; il rivale Bernie Sanders non avrebbe mai potuto vincere le Primarie.
Secondo la fonte dell’ex spia britannica, sarebbero stati i russi a ordinare la penetrazione dei server del DNC, complottando con la Campagna Trump. Per farlo, si sarebbero serviti di una persona interna al Partito Democratico, di hacker di etnia russa con base negli Usa, e hacker in Russia. Le “email” sarebbero state poi consegnate a Wikileaks per rendere il leak meno sospetto, visto che l’obiettivo dell’Organizzazione di Assange è la trasparenza dei processi governativi.
Ricapitolando: l’indagine, ufficialmente, è stata aperta da Strzok per le confidenze di un Papadopoulos mezzo ubriaco a un Ambasciatore australiano; ma è molto probabile che l’opposition research pagata dalla Campagna Clinton abbia offerto ulteriore “materiale probatorio” sulla collusione fra il Cremlino, Wikileaks, e la Campagna Trump. Tutte informazioni che presto finiscono alla stampa.
L’esistenza del Dossier, e le connessioni fra Trump e la Russia, sono svelate da Yahoonews il 23 settembre 2016 – a meno di due mesi dalle elezioni. Era stato proprio Steele, durante una conferenza stampa riservata, a offrire la notizia della collusione fra Trump e il Cremlino; ma solo Michael Isikoff di Yahoonews, fra i giornalisti radunati da Fusion GPS, decide di riportarlo: gli altri, fra cui Jane Mayer del New Yorker, scartano quelle “voci” perché non documentate e difficilmente verificabili.
Eppure Steele è reputato dall’FBI, e Peter Strzok, un informatore ancora credibile. Scorrendo le accuse nei 17 memo, l’ultimo dei quali è del 13 dicembre 2016, emergono accuse verosimili, ma anche discrepanze con fatti realmente occorsi.
Carter Page, lo Steele Dossier e la guerra dei memo
Il memo di Steele del 19 luglio è anche incentrato sulla figura di Carter Page, docente alla NY University, analista energetico e già consulente per istituzioni russe. Esperienze che lo hanno esposto alle attenzioni di agenti di Mosca operativi negli Stati Uniti. Era il 2013 quando un russo, Viktor Podobnyy, tentò di reclutare Page come informatore: un piano finito male, visto che l’FBI, anche grazie alla collaborazione di Carter Page, incastrò il presunto agente e lo espulse insieme ad altri due cittadini russi. Da questa vicenda Page ne uscì pulito nel 2015.
Quindi era una figura nota all’Fbi per i suoi “trascorsi” con spie di Mosca. L’energia e la Russia rimangono comunque specializzazioni nel suo ambito professionale; per questo, all’inizio del 2016, Page si offrì volontario per collaborare con Trump. A marzo il Direttore della Campagna Sam Clovis lo inserisce ufficialmente nel team di politica estera: piacciono le sue idee per una distensione nei rapporti fra Usa e Russia.
E’ maggio 2016 quando Page annuncia a Corey Lewandoski, manager della Campagna, di un viaggio di lavoro in Russia. A Page viene accordato di partire, ma a titolo personale, e non in rappresentanza del candidato repubblicano. Il 7-8 luglio 2016 Page si trova a Mosca in veste di docente universitario; lì, durante una conferenza, critica la politica estera del Presidente Usa Barack Obama, in particolare l’agenda russa.
Nel memo di Steele si legge che durante quel viaggio Page avrebbe incontrato Igor Sechin, ex ufficiale FSB (Agenzia di Intelligence russa) e attuale boss di Rosneft, colosso petrolifero di Stato; Sechin avrebbe auspicato una cooperazione energetica fra Usa e Russia, con la speranza che venissero levate le sanzioni a Mosca. Inoltre, sempre secondo la fonte di Steele, Page si sarebbe incontrato con Igor Diveykin, Vice Ministro per la Sicurezza interna, il quale avrebbe comunicato: abbiamo dossier compromettenti su Clinton, ma anche su Trump.
In realtà Page, nel novembre 2017, testimonierà davanti al Congresso di non aver mai incontrato Sechin, né Diveykin. Tuttavia ammette di aver omaggiato, ai margini della conferenza, il Vice-Premier russo Arkady Dvorkovich. E di essersi intrattenuto con Andrey Baranov, Direttore delle Relazioni con gli Investitori di Rosneft, ma senza discutere di quid-pro-quo fra la Russia e Trump.
La testimonianza di Page contraddice le sue precedenti dichiarazioni, ovvero di non aver mai incontrato ufficiali di governo russi durante la Campagna. Tuttavia non viene corroborato lo Steele Dossier; o per lo meno, solo parzialmente, e con informazioni non corrette. A livello giudiziario diventa un problema avanzare un’accusa documentata con fonti che scambiano identità di persone.
Secondo il repubblicano Devin Nunes, Presidente della House Select Intelligence Committee, lo Steele Dossier sarebbe stato utilizzato dall’FBI e dal Dipartimento di Giustizia per chiedere un ordine di “sorveglianza per agenti stranieri” (FISA) nei confronti di Carter Page; un strumento legale che permette di intercettare la sospetta spia. I memo di Steele incentrati su Page sono vari, e il più pesante è quello datato 18 ottobre 2016; durante il viaggio a Mosca di tre mesi prima, Page avrebbe siglato un patto: Trump leva le sanzioni ai russi in cambio del supporto del Cremlino per colpire la Clinton. Sul tavolo, ci sarebbe anche l’intermediazione per la vendita del 19% di Rosneft – un’operazione pubblicizzata da Mosca già nel 2015. Il FISA venne effettivamente concesso dal Tribunale il 21 ottobre 2016; è uno strumento retroattivo: un dettaglio importante, perché già a fine agosto la Campagna Trump aveva preso le distanze da Carter Page.
Nunes ha descritto le criticità dell’uso dello Steele Dossier in un Memo di Maggioranza, declassificato a fine gennaio 2018. In quei mesi, tra luglio e ottobre 2016, Peter Strzok e l’Fbi non avrebbero trovato conferme sulle notizie fornite dall’informatore/detective della Campagna Clinton tramite Fusion GPS. Nunes rincara la dose riferendo la deposizione a porte chiuse del Vice-Direttore dell’Fbi Andrew McCabe davanti alla House Select Intelligence Committee: è grazie allo Steele Dossier che il Dipartimento di Giustizia, senza specificarne la provenienza, ha ottenuto dal Tribunale la sorveglianza su Carter Page.
A complicare la situazione, è il contatto di Steele all’interno del Dipartimento di Giustizia: si tratta del Procuratore Bruce Ohr, la cui moglie, l’ex ufficiale Cia Nellie Ohr, all’epoca lavorava per Fusion GPS.
La richiesta di sorveglianza a Carter Page è stata rinnovata tre volte dall’FBI/Dipartimento di Giustizia, per un totale di 10 mesi. La sorveglianza, quindi, ha coperto un secondo viaggio di Page in Russia, nel dicembre 2016 – periodo in cui, effettivamente, la Russia ha venduto il 19,5% di Rosneft. Le motivazioni concesse dalla Corte non sono note; secondo Nunes, il FISA è servito all’FBI per “costruire”, grazie alle intercettazioni, prove di una collusione fra Trump e i russi. Eco del messaggio di Peter Strzok alla collega/amante Lisa Page: il Russiagate “è una polizza assicurativa nel caso, molto improbabile, vinca Trump”.
Adam Schiff, leader democratico della House Select Intelligence Committee, ha scritto un Rapporto di Minoranza che demolisce la tesi del “complotto” all’interno delle istituzioni per incastrare Trump. Pubblicato nel febbraio 2018, spiega come lo Steele Dossier sia stato utilizzato parzialmente per concedere la sorveglianza su Carter Page; ci sarebbero altre prove – che per motivi di sicurezza nazionale restano classificate.
Da tempo Carter Page chiede che vengano rese pubbliche le motivazioni del Tribunale per concedere il FISA. Allo stato attuale, Page non è incriminato.
L’evoluzione di uno scandalo, e il nesso Trump-Wikileaks
Dopo quasi un anno di indagine, è stato incriminato Paul Manafort, Capo Campagna Trump, per frode, falso, riciclaggio di denaro. Sono stati incriminati anche 3 cittadini russi della società di San Pietroburgo “Internet Research Agency”, per frode e interferenza nelle elezioni tramite i social network.
- George Papadopoulos, per aver mentito all’FBI su incontri con persone vicino ai russi
- Michael Flynn, ex Consigliere alla Sicurezza Nazionale Usa, per aver mentito all’FBI su contatti con l’Ambasciatore russo Sergey Kislyak.
- Rick Gates, ex braccio destro di Paul Manafort, per frode fiscale, falso, riciclaggio di denaro.
- Richard Pinedo, cittadino americano, per aver inconsapevolmente aiutato cittadini russi ad acquisire false identità da usare su piattaforme online come PayPal.
- Alex Van Zwaan, avvocato belga legato a oligarchi russi, per aver mentito all’FBI sui contatti con Rick Gates.
Sono stati interrogati circa una ventina di associati della Campagna Trump, compresi i familiari. L’investigatore speciale Mueller vorrebbe sentire anche il Presidente degli Stati Uniti; ha già ordinato alla Trump Organization di consegnare tutti i documenti relativi ai rapporti, di qualsiasi natura, con i russi.
Tuttavia, per adesso, mancano i dettagli su come gli hacker russi avrebbero passato i corpi del “DNCleak” e delle “Podestaemail” a Wikileaks; fermo restando che Julian Assange ha sempre negato il ruolo della Russia o di attori governativi. Che dietro al DNCleak vi siano gli hacker russi, è una ricostruzione nient’affatto comprovata, come ben spiegato da Scott Ritter, ex Ispettore Onu. In un dettagliato articolo, Ritter ha smontato la credibilità di Crowdstrike, e l’affidabilità delle analisi che hanno condotto la Comunità di Intelligence Usa, compreso Mueller, a puntare il dito contro il Cremlino.
Dopo due anni, le autorità non sono ancora risalite all’identità di Guccifer2; ma ricerche approfondite sulle sue dichiarazioni, e pubblicazioni, inducono a pensare che non abbia affatto “hackerato” i server del DNC. E Wikileaks ha ufficialmente preso le distanze dal sedicente hacker rumeno.
Manca ancora una ricostruzione solida della collusione fra Wikileaks e la Campagna Trump per danneggiare Hillary Clinton. Sono emersi una manciata di messaggi privati fra l’account twitter di Wikileaks e Donald Trump Jr.: ma non paiono comunicazioni fra due parti che stanno complottando. In campagna, Donald Trump aveva più volte esaltato l’organizzazione di Assange; ma Mike Pompeo, attuale Direttore della Cia e Segretario di Stato in pectore, l’ha paragonata a un gruppo terroristico.
Il nesso con le pubblicazioni dell’organizzazione di Assange è rilevante: l’apertura di Trump verso la Russia e Vladimir Putin non sarebbe più una merce di scambio per raggiungere la Casa Bianca – a maggior ragione dopo la pubblicazione del DNCleak; quella di Trump sarebbe una posizione politica, per quanto discutibile e controversa, condivisa dai suoi elettori.
Secondo la ricostruzione dei media, ma anche seguendo le mosse di Mueller, quel nesso è impersonato da Roger Stone, ex socio di Manafort, e consigliere politico di Trump da due decenni. Nella fase calda del 2016, Stone aveva più volte affermato di essere in contatto con Guccifer2; e di avere un canale di comunicazione indiretto legittimo con Wikileaks – Randy Credico, attivista americano e giornalista radiofonico. Già nell’estate 2016 prevedeva nuove pubblicazioni dell’organizzazione di Assange, che avrebbero investito la Clinton Foundation e John Podesta, Capo Campagna della Clinton; ipotesi avveratasi con le Podestaemail, pubblicate da Wikileaks a partire dall’ottobre 2016.
Stone ha spiegato che quelle affermazioni si basavano su supposizioni e informazioni pubbliche. Un comportamento, quello di Stone, in linea con la sua filosofia: usare ogni trucco per raggiungere gli obiettivi. Approccio che lo ha contraddistinto anche per le campagne presidenziali di Ronald Reagan e George H. W. Bush. I vantati rapporti con Wikileaks, sempre negati da Assange, rappresentavano, nell’ottica di Stone, una mossa come un’altra per favorire l’elezione dell’uomo coltivato politicamente da due decenni. Un’ambizione che rischia di costare caro: Mueller potrebbe incriminare Stone di collusione con la Russia nell’interferenza delle elezioni Usa.
Il contro-Russiagate e la crisi istituzionale
Non si conoscono i termini entro cui Mueller presenterà le conclusioni della sua indagine, né se partiranno incriminazioni per Donald Trump, familiari e associati: un’eventualità che farebbe scattare le dimissioni del Presidente Usa, o una sua “messa in stato d’accusa”.
Si sa che entro aprile 2018 Michael Horowitz, Ispettore Generale del Dipartimento di Giustizia, pubblicherà il Rapporto di Indagine sull’operato dell’FBI nell’Emailgate, e nelle prime fasi del Russiagate. Horowitz ha già sentito molti testimoni: a partire dall’ex Vice-Direttore FBI Andrew McCabe, che ha lasciato il suo incarico subito dopo la declassificazione del Rapporto di Nunes sullo Steele Dossier. Potrebbero emergere nuovi comportamenti sleali, o peggio, nei confronti di un candidato alla Casa Bianca.
Nel frattempo, sollecitato da alcuni membri del Congresso Usa, il Segretario alla Giustizia Jeff Sessions ha nominato un secondo Investigatore Speciale, esterno a Washington; il quale starebbe già indagando sulla collusione fra la Campagna Clinton e rami delle Istituzioni Usa.
Nel marzo 2017 Sessions, uno dei primi sostenitori della candidatura di Trump, era stato costretto a ricusarsi dal suo ruolo rispetto al Russiagate; durante l’udienza di conferma della sua nomina a Segretario alla Giustizia, non aveva svelato di suoi incontri con l’Ambasciatore russo Kislyak durante la campagna presidenziale.
Due anni dopo lo scoppio dello scandalo, esistono ancora dubbi che la Campagna Trump abbia colluso con il Cremlino per vincere le elezioni. Cominciano a emergere sospetti, però, che individui delle istituzioni Usa, nel 2016, si attivarono perché ciò non avvenisse.
E’ in corso, quindi, uno scontro fra un Presidente che ha vinto le elezioni, e una parte delle istituzioni che non accetta le modalità con cui ha conquistato la Casa Bianca, e considera Trump illegittimo.
L’ex Direttore della Cia John Brennan, uno dei primi a suonare l’allarme sull’operazione del Cremlino di piazzare un suo favorito alla Casa Bianca, a inizio marzo ha risposto a un tweet del Presidente Trump:
“Il tuo tweet è un perfetto esempio della tua paranoia, la tua costante distorsione dei fatti, e la crescente ansia e panico (giustamente) a causa dell’indagine di Mueller. Quand’è che quelli al Congresso, e il 30% di Americani che ti supportano, capiranno che sei un “ciarlatano?”
Questo non pare il messaggio di un “civil servant” che esprime critiche al proprio Presidente, ma l’avvertimento di un uomo ancora molto potente, pronto alla resa dei conti.
di Cristiano Arienti
In copertina: Immagine di Ben Wiseman
CRONOLOGIA DEL RUSSIAGATE (completa di Fonti e Leak utili)
Russiagate, Wikileaks, e la dimensione parallela di Seth Rich (1/2)- CRONOLOGIA