Energia e Clima: il ritardo degli economisti
Nell’ultimo libro dell’economista Alberto Clô, Energia e Clima. L’altra faccia della medaglia, viene citato Alan Greenspan, storico capo della Fed (Banca Centrale americana): “L’abbondanza del petrolio, disse Greenspan, è meglio della diplomazia, perchè ci sono meno conflitti per accaparrarsi fonti di energia”. E’ bene ricordare che Greenspan, alla Fed dal 1987 al 2006, era il campione della deregolamentazione finanziaria, alla radice della Crisi del 2008. Citare l’uomo che ha guidato l’economia globale verso la polverizzazione, non è il miglior viatico per un libro che intende spiegare perché il Cambiamento Climatico non sarebbe quel fenomeno minaccioso descritto dalla stragrande maggioranza degli scienziati.
Perché se fosse così, spiega Clô, allora la Comunità Internazionale prenderebbe delle vere contromisure, molto più efficaci rispetto all’Accordo di Parigi del 2015: un patto non vincolante, non verificabile, dai tempi incerti e dai costi altissimi. Ai 500 miliardi di $ del Green Climate Fund da racimolare entro il 2020, spiega l’economista, se ne dovranno aggiungere circa 50.000 in pochi decenni, come costo della transizione; soldi che nessuno è disposto pagare: non i governi, e tanto meno i cittadini. Nel libro la domanda “chi paga?” si staglia come una sfinge su qualsiasi altro problema. Quindi, l’Accordo ratificato da tutte le Nazioni del pianeta (tranne la martoriata Siria, e gli Usa di Trump) sarebbe un insieme di parole al vento; oltre che un serio danno all’economia, per l’impulso alla coercizione di regole e limiti nel mercato dell’energia. Clô, una carriera da ricercatore e amministratore nell’Eni, colosso del carbon-fossile, ce lo spiega con 200 pagine fitte di storia e dati: la transizione economica, così come viene dipinta sui media e negli studi scientifici, è un’illusione; l’idea che entro il 2050 l’energia elettrica, all’80%, verrà ricavata da fonti rinnovabili non è sostenibile.
In questo scenario, tuttavia, non viene ignorato il pericolo del Cambiamento Climatico – Clô, bontà sua, lo riconosce e ammette la necessità di contromisure; ma sarà la domanda globale di energia il fattore per cui gas e petrolio domineranno il mercato ancora per decenni. Sempre che non cambi lo stile di vita occidentale, così assetato di elettricità e locomozione; a cui vanno aggiunti i miliardi di cittadini globali che vorranno accedere al progresso. Attualmente, scrive l’economista, esiste un rapporto di 30:1 fra carbon-fossile e rinnovabili, con una path-dependence destinata a durare per generazioni. Quello di Clô, quindi, è un mercato quasi statico: anche perchè le riserve di petrolio e gas sono enormi; soprattutto con la novità della fratturazione idraulica: il fracking permette di sfruttare gli strati rocciosi del sottosuolo pregni di carbon-fossile – ma sono anche state acclarate le connessioni fra questo metodo estrattivo e i terremoti, e l’inquinamento delle falde acquifere.
Non è pensabile, secondo l’economista, sostituire in pochi decenni il fabbisogno energetico garantito dal Gas&Oil con l’industria delle rinnovabili, troppo legata ai sussidi. Sussidi che nel 2014, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), sono stati comunque minori rispetto a quelli forniti al carbon-fossile; un’industria che ha sempre goduto di particolari esenzioni fiscali. Leggendo Energia e Clima, però, sembra che i sussidi siano estranei al settore delle fonti tradizionali; ma non è così: secondo uno Rapporto di Legambiente, l’Italia spende circa 15 miliardi di € all’anno per promuovere il consumo di gas, petrolio e carbone. Grazie a uno studio commissionato alla IEA, i Paesi asiatici hanno scoperto che le rinnovabili non decollavano a causa degli enormi sussidi all’industria del carbon-fossile, circa 140 miliardi di $ all’anno. L’economia russa si regge su Gazprom e Rosneft. Nei Paesi arabi i sussidi al gas e petrolio, con prezzi bassi per l’energia elettrica, rappresentano una forma di controllo sociale. Regioni, specialmente il Golfo Persico, che nel XXII secolo potrebbero essere inabitabili a causa delle alte temperature.
Ma quello da cui il libro Clima ed Energia sta alla larga, è la previsione del costo sociale del carbonio (SCC), cioè l’impatto dei gas climalteranti sul bilancio di un Paese: dalla sanità all’agricoltura, l’allevamento, l’idrografia, etc. Attualmente il costo naviga sui 38 $ per tonnellata di carbonio emesso; nel 2015 gli Stati Uniti hanno sborsato circa 200 miliardi di $ in SCC; che alcuni studi ammettono come una forma di sussidio nascosto. Anche l’Unione Europea e in generale i Paesi Osce non si discostano molto da quella cifra. Nel lungo periodo, a livello globale, solo la spesa sociale del carbonio si avvicinerebbe alla cifra da destinare, secondo l’economista, alla transizione energetica.
Eppure Clô passa questo messaggio: sul fatto che gas e petrolio debbano rimanere la primaria fonte di energia ancora per molti decenni, esiste un consenso economico. Una posizione conflittuale con il consenso scientifico: bisogna ridurre in modo drastico e immediato i gas climalteranti, se si vuole contenere il Riscaldamento Globale.
Allora nel libro si avanza la soluzione: va bene rallentare l’aumento delle temperature globali, ma senza danneggiare il settore energetico tradizionale: cioè le major Oil&Gas, che nell’ultimo secolo hanno permesso il grande balzo dell’umanità. Se, come fa pensare l’Accordo di Parigi, i politici sono intenzionati a regolamentare il settore in favore solo delle energie rinnovabili, si corrono due rischi: il declino delle grandi aziende Oil&Gas prima che le nazioni abbiano un solido piano energetico alternativo; sono previsioni della IEA, si legge. Su questo punto, però, l’economista non dice che le previsioni della IEA sull’utilizzo delle rinnovabili sono riviste al rialzo quasi di semestre in semestre. Nel mercato del lavoro Usa c’è una enorme richiesta di tecnici e installatori di pannelli solari e turbine eoliche. Alcune nazioni come Uruguay, Danimarca, Scozia, Portogallo, per limitati periodi, sono già in grado di rifornire il Paese di energia elettrica sfruttando solo le rinnovabili. E’ poi lo stesso Clô, con scetticismo, ad affermare: potrebbe esserci il break-through, una qualche innovazione tecnologica in grado di avverare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Il secondo rischio è la contrazione dell’offerta di energia in seguito a un cambio strategico delle major del Gas&Oil, cioè bloccare ricerca e sviluppo di nuovi giacimenti. Questo, in corrispondenza con il previsto aumento della domanda di energia, imprimerebbe un’impennata dei prezzi di gas e petrolio. In nome di un non meglio definito “salvataggio dell’umanità”, si colpirebbero proprio le fasce più deboli delle popolazioni. E’ la stessa IEA che invece prevede: entro il 2030, il 60% dei nuovi consumatori di energia elettrica si approvvigioneranno grazie alle rinnovabili. Secondo un Rapporto della Banca Mondiale, potrebbe essere l’energia rinnovabile (off-grid), a permettere un vero balzo di progresso per i Paesi sub-sahariani.
Eppure per Clô solo il consumo di gas e petrolio contribuirebbe a combattere la povertà in vaste aree del pianeta; ecco perché, per l’economista, è assurdo mettere in discussione la solidità dell’attuale sistema energetico. Gli fa eco Giulio Sapelli, Docente di Storia Economica alla Statale di Milano. Intervenuto lo scorso 9 ottobre alla presentazione del libro, presso la Fondazione Eni di Milano, Sapelli ha spiegato: attualmente esiste un’unica via praticabile, cioè saranno le grandi major dell’Gas&Oil a gestire la transizione energetica, trasformando il loro core-business dal carbon-fossile alle rinnovabili. Nei prossimi decenni il sistema si avvarrà di un mix energetico sì regolato dalle istituzioni, ma soprattutto dalle leggi del mercato. Una visione elaborata anche da Claudio Descalzi, Amministratore Delegato di Eni, presente all’evento: gli scenari economici prevedono per il 2040 una domanda di petrolio pari a oltre 100 milioni di barili al giorno, anche se dovessero prendere piede le auto elettriche – una quantità addirittura superiore a quella attuale. Se però i regolatori penalizzassero troppo gas e petrolio, i rifornitori di energia potrebbero ritornare a un uso massiccio del carbone, altamente climalterante. Una visione contraria agli studi che vedono il carbone in un declino irreversibile a favore delle rinnovabili. Descalzi, però, snocciola stime della IEA: l’incidenza delle rinnovabili, nel 2040, sarà appena del 15%; lontanissima dagli obiettivi di Parigi – ma pur sempre una quota di mercato che l’Eni, insieme alle altre major, aspira a detenere.
Se la transizione dovesse essere gestita dalle major di Oil&Gas, che effettivamente stanno diversificando la loro offerta di energia, è ovvio che l’incidenza sarebbe così bassa. Attualmente investono in ricerca e sviluppo delle rinnovabili appena l’1-2% sul totale, come riporta Clô. All’opposto, esistono aziende di settore che stanno investendo tantissimo per sviluppare l’efficienza nel solare, l’eolico e il geotermico: l’ultimo Outolook sull’energia di Bloomberg, spiega che il 75% degli investimenti in nuovi impianti elettrici, da qui al 2040, è destinato alle rinnovabili.
Per quanto riguarda il mercato, nel gennaio 2017, è accaduto che l’energia prodotta da solare ed eolico fosse meno cara rispetto ai carbon-fossili. Dieci anni fa il mercato dell’energia solare non esisteva nemmeno, in pratica; a tutto questo si è arrivati grazie a sussidi, certo; ma anche attraverso tecnologie sempre più innovative, efficienti e convenienti: i breakthrough che Clô attende con scetticismo, sono una realtà in costante evoluzione.
La crescita delle rinnovabili, poi, è conseguente a una maggiore sensibilizzazione sul problema del Riscaldamento Globale; l’opinione pubblica inizia a rigettare la narrativa imposta dalle major di Oil&Gas attraverso una stampa compiacente o impreparata: si metteva la scienza del Cambiamento Climatico antropico sullo stesso piano delle tesi negazioniste.
Di un futuro decarbonificato se ne parla ovunque; anche su quei mezzi di informazione che fino a pochi anni fa ignoravano il Riscaldamento Globale; come ad esempio il Corriere della Sera. Alla presentazione del libro, in veste di moderatore, c’era Daniele Manca, Vice Direttore del quotidiano; ma di fatto non c’era dibattito, come ha ammesso lo stesso Descalzi; peraltro Eni è uno dei maggiori inserzionisti del Corriere della Sera. Non c’è stato nemmeno lo spazio per le domande dal pubblico; la prima sarebbe stata molto semplice: e se invece il Cambiamento Climatico antropico fosse davvero la minaccia da cui gli scienziati ci stanno mettendo in guardia? Che l’ingerenza dell’industria del carbon-fossile nella politica e nell’informazione abbia ritardato le soluzioni contro il fenomeno?
Clô si permette il lusso di escludere queste domande per un motivo dichiarato: guarda con sospetto ai modelli scientifici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC); li paragona al Rapporto del Club di Roma, del 1972, quando vennero offerti scenari catastrofici che poi non si sono verificati. Un raffronto che ignora l’estrema precisione dei modelli climatici degli ultimi tre decenni: il previsto aumento delle temperature globali non si discosta di molto da quello reale. Clô rimane freddo allo scenario secondo cui, nel XXII secolo, le temperature potrebbero essere +4°C rispetto all’epoca pre-industriale, con conseguenze traumatiche per l’umanità. Si scalda solo ricordando l’iperbolico errore di valutazione di un membro dell’IPCC: i ghiacciai dell’Himalaya si scioglieranno entro il 2035: l’economista, però, non si preoccupa che il fenomeno possa verificarsi più avanti. Uno studio condotto sui ghiacciai del bacino di Chandra, spiega che dal 1984 a oggi è andato perso 1/5 del volume totale a causa dell’azione umana. Nel libro viene accettato che i ghiacciai si stanno ritraendo – è impossibile negarlo, visti gli scioccanti studi sui ghiacciai alpini; tuttavia non viene in alcun modo analizzato lo scenario in cui muta l’idrografia globale, né le conseguenze sul piano economico. Dal 1850 a oggi si calcola che i ghiacciai svizzeri, cioè una immensa riserva di acqua dolce, abbiano perso metà del loro volume; secondo la logica di Clô, il fenomeno non va definito una catastrofe climatica. Le conseguenze, però, saranno pesantissime, e prevedibili, sul settore primario delle regioni pre-alpine.
Leggendo il libro, e ascoltando il suo autore, ecco che si viene assaliti da un dubbio: Clô non include il Cambiamento Climatico come variabile economica. Una impostazione che facilita enormemente il suo compito: far accettare l’innalzamento delle temperature rispetto all’epoca pre-industriale – non importa di quanto – come un evento sostenibile; la transizione energetica tarderà, ma anticiparla sarebbe peggio. Una conclusione facilitata dal cherry-picking sugli studi relativi all’innalzamento delle temperature: ad esempio ne cita uno secondo cui l’Antartide non si starebbe surriscaldando. E’ un fenomeno, invece, ampiamente registrato; le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. E’ recente il distaccamento dalla piattaforma Larsen-C di uno strato di ghiaccio esteso come la Liguria: prendendo il largo, è destinato a sciogliersi. Negli ultimi 40 anni, da quando la Nasa ha cominciato le registrazioni satellitari, i mari ghiacciati ai Poli non sono mai stati così ridotti.
Sono disponibili centinaia di studi sull’innalzamento degli oceani, a causa del Riscaldamento Globale: gli ultimi parlano di acque più alte di almeno 1,3 metri nel XXII secolo: intere fasce costiere sarebbero inondate. Quanto costerà adattare le megalopoli affacciate sugli oceani? Di certo neanche un soldo verrà preso dalle tasche delle major Gas&Oil; e nemmeno le assicurazioni copriranno i danni: già oggi si rifiutano di sottoscrivere polizze in aree adiacenti alle coste. Uno studio condotto dal colosso immobiliare Zillow, con i dati dell’Agenzia Usa degli Oceani e dell’Atmosfera (NOAA), spiega che molte aree urbane, negli Usa, verranno sommerse entro il 2100, con una perdita di valore immobiliare stimata in 1.000 miliardi di $; cifra da moltiplicare a livello globale.
Clima e Energia spiega che sarà necessario adattarsi al Cambiamento Climatico: una ovvietà che ormai nessuno studioso omette; ma l’autore del libro non osa quantificare il costo di tale adattamento. Già adesso fenomeni climatici estremi come gli uragani si abbattono con maggior intensità e frequenza rispetto al passato: gli Stati spendono decine di miliardi di $ per risistemare città e regioni.
La domanda monolitica del libro, “chi paga?”, andrebbe girata a Clô; e la risposta è la seguente: i contribuenti. Il Mose, l’opera di ingegneria per difendere Venezia dall’acqua alta, è finora costata 5,5 miliardi di €; e non è stata ancora terminata. Houston, devastata dall’uragano Harvey, ha buttato al vento 2 miliardi di $ in bacini rivelatisi inutili. Nel 2006 Tokyo ha inaugurato un sistema anti-inondazioni costato 2 miliardi di $; le autorità, in previsione dell’innalzamento dei mari, temono che non sia sufficiente. Opere del genere saranno necessarie in migliaia di città costiere, e ovunque si trovino strutture di importanza nevralgica vicine ai mari.
Esprimere dubbi sui modelli scientifici dell’IPCC, della NOAA, e dei climatologi in generale, è funzionale per evadere la domanda: chi paga per reggere il paradigma economico incardinato sui carbon-fossili? Non è casuale che nell’introduzione del libro venga citato un editoriale di Paolo Mieli, pubblicato sul Corriere della Sera il 16 novembre 2016: il giornalista spiegava come la lotta al Cambiamento Climatico sia condotta in modo irragionevole, e deprecava “l’ignobile accanimento contro chi mette in dubbio il consenso scientifico sul Riscaldamento Globale antropico”. Un editoriale, quello di Mieli, così zeppo di strafalcioni, da essere definito anti-scientifico da più parti (1–2).
Tuttavia è proprio la citazione di Greenspan che deve mettere in guardia i lettori di Clima e Energia: l’ex Capo della Fed avrà anche definito l’abbondanza del petrolio meglio della diplomazia; ma ha anche ammesso, nel 2007, che la II Guerra del Golfo era per il petrolio. Rimuovere Saddam Hussein, aveva spiegato Greenspan al Presidente Bush all’alba del 2003, è fondamentale per mettere in sicurezza il mercato globale dell’oro nero. Una guerra che ha aperto un vaso di pandora in Medio Oriente: si contano oltre 1 milione di vittime, e una spesa calcolabile in trilioni di $ pagati dai contribuenti – una triste forma di sussidi. Nella nostra epoca, la guerra è l’altra faccia della medaglia, quando si parla di petrolio e progresso. Nel 2006 la Commissione sulle Relazioni Estere del Senato Usa tenne una serie di udienze sulla “Diplomazia energetica e Sicurezza”: si approfondivano i pericoli della dipendenza Usa dal petrolio. I lavori si aprirono sulla Libia del 2005, e la frenesia degli operatori Oil&Gas con l’apertura di Gheddafi agli investimenti stranieri. Sei anni dopo il regime di Tripoli sarebbe stato abbattuto da una coalizione guidata dagli Usa, destabilizzando in modo traumatico la regione mediterranea. Greenspan, in qualità di esperto, fu ascoltato dalla Commissione; spiegò le mosse degli Stati Uniti per smarcarsi da eventuali crisi nel settore petrolifero: aumentare le riserve nazionali, ottimizzare le raffinerie e i consumi, perseguire la stabilità dei prezzi a livello globale. Per diminuire la dipendenza dal petrolio, disse, sarebbe necessario investire in altre fonti energetiche, come il nucleare e il “carbone pulito”. Era il giugno 2006, a nove anni dall’Accordo di Parigi: Greenspan non nominò nemmeno il solare o l’eolico. Oggi, la sua voce sembra giungerci da un passato remoto.
Energia e Clima. L’altra faccia della medaglia, è un libro che fatica a diversificarsi da quel passato. Ma di sicuro rischia di alterare il futuro; è un testo che finirà in vari corsi di economia: gli studenti acquisiranno lo scetticismo implicito dell’autore contro la comunità scientifica; la classe dirigente del domani farà proprie le sue tesi sulla necessità di gas e petrolio ancora per molti decenni. I gas climalteranti prodotti in questo arco di tempo rimarrebbero per secoli nell’atmosfera; si aggiungerebbero alla CO2 già presente all’interno della “serra” terrestre: che è a livelli mai toccati negli ultimi 800.000 anni.
Forse ha ragione Clô: non siamo pronti per una transizione energetica; prima è necessario un profondo, e irreversibile, cambio di mentalità. A partire dagli economisti.
di Cristiano Arienti
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Fonti e link (oltre a quelle linkate nell’articolo)
http://www.assolombarda.it/fs/200448163715_20.PDF
https://www.c-span.org/video/?192870-1/dependence-foreign-oil&start=5635
https://corporateeurope.org/climate-and-energy/2017/10/great-gas-lock (Lobbismo di Exxon sulle istituzioni europee)
https://www.theguardian.com/environment/2017/oct/26/sea-levels-to-rise-13m-unless-coal-power-ends-by-2050-report-says?utm_content=buffera1c2b&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer
https://blogs.scientificamerican.com/plugged-in/coal-only-supplied-2-of-u-k-electricity-in-the-first-six-months-of-2017/?utm_source=twitter&utm_medium=social&utm_campaign=sa-editorial-social&utm_content=link-post&utm_term=sustainability_blog_text_free&sf131693385=1
http://www.climatecentral.org/news/global-cities-climate-change-21584?utm_content=buffer12da8&utm_medium=social&utm_source=twitter.com&utm_campaign=buffer
In Houston, Escalating Climate Costs Come Due in Harvey Recovery