Convention Democratica: le mosse di Sanders prima di concedere alla Clinton

“Possiamo cambiare; e però possiamo anche ritornare al passato”. Questo è uno dei messaggi consegnati dal Presidente Usa Barack Obama al popolo americano, con il suo appoggio ufficiale a Hillary Clinton, la “presunta nomination” dei democratici nella corsa alla Casa Bianca. Nel 2008 Obama aveva adottato lo slogan “we can change”; che divenne poi “yes we can” quando dimostrò che si poteva battere l’establishment, rappresentato proprio dalla Clinton, la sua rivale di allora. Adesso invece “è con lei”, definendola la persona più preparata a occupare la Casa Bianca.

L’endorsement di Obama è arrivato dopo il decisivo voto in California, e minuti dopo l’incontro con il candidato perdente, Bernie Sanders, anch’egli impegnato a sconfiggere l’establishment rappresentato dalla Clinton. Il Presidente Usa ha tentato di convincere il Senatore del Vermont a concedere la vittoria, e appoggiare la “presunta nomination” contro il candidato Repubblicano Donald Trump, in vista del voto di novembre. Sanders, come aveva già fatto capire nel corso della sua campagna, non si arrende. I numeri e le regole del Democratic National Committee (DNC) glielo permettono: la Clinton ha la maggioranza relativa tra i delegati (2178 vs 1810) conquistati nei cinque mesi elettorali, e gli oltre 700 Superdelegati, figure nobili del Partito, che voteranno ufficialmente alla Convention del 25 luglio; manca solo Washington DC, dove si vota oggi, ma il risultato è ininfluente, visto che il Distretto della Capitale ne mette in  palio appena 20.

La nomination dell’ex Segretario di Stato è blindata, di fatto, dai quasi 600 superdelegati che hanno promesso di appoggiarla. Tuttavia potranno formalizzare il loro voto solo il prossimo 25 luglio, a Philadelphia, dove si terrà la Convention del partito.

Fino ad allora, per qualsiasi ragione, potrebbero decidere di appoggiare Sanders: e mai come in queste elezioni il voto dei superdelegati potrebbe essere chiamato a sovvertire il voto popolare: la Clinton è al centro di un’indagine criminale dell’Fbi per via dell’utilizzo illegale del suo server privato per le comunicazioni governative; c’è possibilità che abbia violato due leggi federali: l’Espionage Act, e l’Omb/Nara sulla gestione dei documenti soggetti a FOIA. Queste sono indicazioni contenute nel Rapporto speciale dell’Ispettorato del Dipartimento di Stato, pubblicato lo scorso maggio. Qualora l’Fbi, a indagine terminata, suggerisse un’incriminazione, toccherebbe al Dipartimento della Giustizia condonare la Clinton oppure indire un processo. E se si arrivasse davvero a quel punto, con la Clinton già residente alla Casa Bianca, per lei si aprirebbe una procedura di impeachment.

Ma ci sono almeno altre due ragioni per cui Sanders non concede.

Sanders per un Partito Democratico progressista

Sanders fightInnanzitutto vuole difendere la voce di milioni di persone (circa il 42% dei democratici) che hanno espresso il voto per lui. La Clinton deve “costruire ponti” verso quella minoranza che ha sposato la visione del Senatore del Vermont : 1) maggior equità sociale e ridistribuzione economica, 2) sanità ed educazione universali, 3) un ridimensionamento delle grandi banche 4) limitare l’influenza di Wall Street e delle multinazionali sul Governo 5) un vero impegno nella lotta ai Cambiamenti Climatici 6) una politica estera non militarista, che non abbia i regime change come obiettivi.

Durante la sua campagna elettorale, la Clinton ha spostato a sinistra il baricento delle sue politiche, proprio per rincorrere il successo elettorale del suo rivale, un semi-sconosciuto prima delle Primarie. E ora può contare anche sull’endorsement della Senatrice Elizabeth Warren, già professoressa in Diritto Finanziario ad Harvard, critica implacabile di Wall-Street e del finanziamento delle corporations ai politici: una paladina, insomma, per i progressisti. La Clinton ha addirittura indicato la Warren come un ideale punto di forza nella sua futura Amministrazione, e la Senatrice stessa, in un’intervista alla Nbc, ha dichiarato di essere pronta per la carica di Vice-Presidente. La Clinton spera così di ingraziarsi una parte decisiva dell’elettorato di Sanders, soprattutto coloro che non dimenticano come la crisi scatenata dal sistema finanziario abbia colpito duramente la classe media, lasciando intatto lo strapotere dei banchieri. Una mossa che potrebbe non essere sufficiente: gli elettori di Sanders erano rimasti disorientati dal mancato endorsement della Warren; soprattutto prima del voto di marzo in Massachusetts, il collegio della Senatrice, perso per soli 13.000 voti.

“E’ facile scendere in campo adesso contro Donald Trump; ma dov’era la Warren”, si è chiesta la Senatrice Nina Turner, “quando Sanders lottava per promuovere politiche a lei care?”

Anche sui social media il successo odierno della Warren è visto come la raccolta dei frutti seminati dal Senatore del Vermont.

In un sondaggio Reuters/Ipsos del 10 giugno, dopo la conquista della nomination da parte della Clinton, 3/4 dei democratici interpellati ritengono che Sanders debba avere un ruolo chiave nell’elaborare le politiche del partito, e 2/3 pensano che dovrebbe essere Vice-Presidente.

Di sicuro i buoni risultati elettorali di Sanders e la sua fermezza – già a marzo era indicato come perdente e invitato a ritirarsi – lo motivano a imporre parte della sua agenda alla Convention di Philadelphia: le sue politiche, fin dove sarà possibile, in cambio dell’unità del Partito, spaccato in due.

E’ di questo che parleranno oggi (14/6/2016) Clinton e Sanders in un incontro privato: il Senatore vuole capire la piattaforma politica della Clinton: proiettata negli anni futuri, e non solo per vincere le elezioni di novembre. Il suo appoggio sarà decisivo per imbarcare fra i democratici i milioni di indipendenti che non sono convinti dall’ex Segretario di Stato, e potrebbero preferirle Donald Trump; oppure votare per un terzo incomodo, come i Verdi di Jill Stein o i Libertari di Gary Johnson: in un sondaggio Nbc del 7 giugno, i due partiti totalizzerebbero più del 13%.

In California il 25% della base elettorale di Sanders, indipendenti compresi, non voterebbe per la Clinton, come riporta il Los Angeles Times. Tuttavia un recente sondaggio della Reuters/Ipsos indica l’ex Segretario di Stato avanti di 11%, a livello nazionale, sul candidato Repubblicano.

Comunque, l’endosement di Sanders per la Clinton dovrebbe arrivare, presto o tardi; il Senatore ha promesso che farà di tutto per tenere Trump lontano dalla Casa Bianca.

Sanders per una vera riforma del Partito Democratico

La seconda ragione per cui Sanders non ha ancora concesso alla Clinton, è la sua promessa di evidenziare alla Convention di Philadelphia i problemi strutturali del Partito Democratico. Il bersaglio grosso sarà Debbie Wasserman Schultz, Presidente del DNC, la quale ha fatto una guerra frontale al Senatore del Vermont: a partire dal rifiuto di cedergli le liste degli elettori democratici, all’organizzazione di pochi dibattiti televisivi, al finanziamento semi-nascosto alla campagna della Clinton; uno sbilanciamento in favore di uno dei due candidati che ha certamente influito sulla gara elettorale. Sanders ha già offerto il suo appoggio a Tim Canova, lo sfidante della Schultz per la guida al DNC.

Un altro punto critico è la cecità di fronte ai casi di grave soppressione di voto registrati nelle Primarie dell’Arizona, nello Stato di New York e a Porto Rico, per citare i casi più eclatanti: Sanders li ha denunciati vigorosamente, nel quasi totale silenzio del DNC. Sospetti di “magheggi” sono emersi anche in Kentucky, Massachusetts, Illinois. E la gestione delle Primarie in Iowa e Nevada ha destato molte perplessità.

In California si erano registrate oltre 17 milioni di persone per il voto, la maggioranza delle quali aveva intenzione di scegliere tra i candidati democratici, essendo la corsa tra i Repubblicani decisa da tempo. Ufficialmente, se ne sono presentate meno del 40%; ma, come ha documentato il Los Angeles Times, sono emersi casi di registri elettorali scomparsi, schede esaurite prima del tempo, macchine elettorali guaste: un caos, come titola l’articolo.

Il voto in favore della Clinton è stato chiamato con appena il 30% delle schede scrutinate; ad ora la Clinton ha conquistato la preferenza di 2,2 milioni di persone, contro 1,7 milioni di Sanders; alla conta mancano ancora centinaia di migliaia di schede, e la Clinton ha già perso 1 punto/percentuale rispetto ai risultati emessi il 7 giugno (mantenendo però un ampio vantaggio, il 12%).

In quella nottata, mentre una parte del Paese festeggiava la nomination della Clinton, il Senatore del Vermont spiegava: “il vantaggio della mia rivale in California è significativo, ma voglio attendere i risultati finali”.

Ma non basta: in un dettagliato exit-poll dell’autorevole Capitol Weekly, condotto nell’area di Los Angeles, la Clinton aveva un vantaggio minore del 10% su Sanders rispetto ai voti via posta; dai risultati pubblicati sul sito della Contea di Los Angeles, invece, emerge una discrepanza del 23% rispetto all’exit-poll: un’anomalia che, secondo gli standard del dipartimento di Stato Americano, renderebbe illegittimo il voto se si trattasse di elezioni all’estero.

Il problema della discrepanza tra gli exit-polls e i risultati del voto elettronico è una costante in molti Stati di queste Primarie Democratiche; Sanders potrebbe solleverlo durante la Convention, chiamando l’attenzione sulla poca trasparenza di voto.

Di sicuro il Senatore del Vermont affronterà il nodo dei superdelegati; la loro stessa esistenza gli permette di partecipare alla Convention da candidato: un’assurdità, visto il suo svantaggio in termini di delegati e voto popolare. Tuttavia sono stati motivo di enorme disturbo nella contesa elettorale tra lui e la Clinton: per gennaio, ancora prima dell’inizio di queste Primarie, l’ex Segretario di Stato si era assicurata l’appoggio di 400 superdelegati, creando la percezione negli elettori che la gara fosse finita in partenza.

L’uso improprio dei Superdelegati, tra l’altro, ha di fatto messo il sigillo a queste primarie: la California era decisiva, avendo Sanders i numeri per ipotizzare un ribaltone nel conteggio dei delegati: è stata l’Associated Press, con un sondaggio segreto sui Superdelegati, a decretare Clinton vincitrice delle Primarie, e nomination democratica; questo è avvenuto il giorno prima del voto in California: disincentivando gli elettori, più o meno volontariamente, a recarsi ai seggi.

La Rappresentante del Congresso Tulsi Gabbard, che appoggia Sanders, ha lanciato una petizione per eliminare i superdelegati dal sistema di selezione del candidato Presidenziale all’interno del Partito Democratico.

E’ da vedere se anche la Clinton, pur di assicurarsi l’appoggio di Sanders, è disposta a cancellare quel meccanismo che permette all’establishment di mantenere un ferreo controllo sulle dinamiche elettorali.

E’ una delle lotte che Sanders, nel discorso del 7 giugno che doveva essere di resa, ha promesso di combattere: “The struggle continues – La lotta continua”.

di Cristiano Arienti

https://www.youtube.com/watch?v=k3gY1lQ1GZovote.sos.ca.gov/returns/status/

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