Primarie democratiche Usa: la frode elettorale in Arizona
Le sterminate code dei cittadini davanti ai seggi dell’Arizona, mentre in contemporanea la Cnn proclamava Hillary Clinton vincitrice delle primarie democratiche dello Stato, rappresentano il simbolo di uno dei più gravi scandali nella storia delle elezioni Usa. Si calcola che manchino all’appello circa 300.000 voti rispetto alle stime pre-elettorali; e questo nella sola contea di Maricopa: su una proiezione di affluenza di circa 318.000 persone, ai seggi hanno votato solo in 32.000.
Per avere una metro di misura, in Arizona la Clinton ha ricevuto 257.000 preferenze (56%), imponendosi sul rivale Bernie Sanders con un margine di 70.000 voti (40%).
La notte stessa delle primarie, tenutesi lo scorso 22 marzo, sui social media sono comparsi gli hashtag #AZrigged (ArizonaTruccata) e #ArizonaElectionFraud (la frode delle elezioni in Arizona).
Il giorno dopo è stata lanciata sul sito della Casa Bianca una petizione affinché il Presidente Usa si pronunci sulla soppressione di voti e sui brogli elettorali in Arizona: in meno di 48 ore sono state superate le 100.000 firme necessarie perché parta un’indagine ufficiale. A oggi sono oltre 210.000.
Il sindaco di Phoenix Greg Stanton ha inviato una lettera al Segretario alla Giustizia Loretta Lynch pregandola di aprire un’indagine federale per accertare cosa sia veramente successo, se vi sia stata una frode elettorale.
I maggiori problemi, come detto, si sono riscontrati nella Contea di Maricopa, la più popolosa dell’Arizona, e dove si trova Phoenix, la sesta città degli Stati Uniti: circa 1.2 milioni di persone avevano a disposizione appena 60 seggi sul territorio; basti pensare che nelle elezioni Presidenziali del 2012 i seggi erano 200, e l’affluenza era stata di circa 300.000 persone.
Già da fine mattinata davanti ai seggi si sono formate lunghissime code: come hanno testimoniato vari reporter, in media c’era un’attesa di almeno due ore. Da metà pomeriggio, l’ora dell’uscita dagli uffici, molti elettori sono rimasti intruppati in code di 4-5 ore; come ha anche testimoniato la Senatrice Repubblicana Kimberly Yee. Il giorno dopo sono stati migliaia i cittadini che sui social media hanno raccontato di aver abbandonato il proposito di votare, dissuasi all’idea di dover rimanere in piedi lunghe ore sotto il sole dell’Arizona.
In alcuni casi le code sono state causate anche dal precoce esaurimento delle schede elettorali; i cittadini, una volta varcata la soglia dei seggi, non potevano materialmente votare: dovevano attendere l’arrivo di nuove schede.
Oltre alla penuria di seggi e all’esaurimento di schede elettorali, migliaia di elettori democratici si sono trovati di fronte a un altro problema: il sistema elettronico li riconosceva come indipendenti; quindi, secondo le regole dello Stato, non avevano il diritto di votare.
E’ il Segretario di Stato dell’Arizona Michele Reagan ad aver confermato che un suo collaboratore non ha potuto votare per il suo partito perché risultava indipendente. Lo ha ammesso di fronte a una tesissima assemblea pubblica del Congresso di Stato dell’Arizona, tenutasi lo scorso 28 marzo, convocata per discutere della soppressione di voto alle recenti primarie. Decine di cittadini hanno espresso di fronte al Congresso rabbia, disgusto, frustrazione per non essere riusciti a votare per le ragioni sopraelencate.
Sotto accusa è finita Helen Purcell, la Direttrice del comitato elettorale della Contea di Maricopa; mesi prima la Purcell, ufficialmente per questioni economiche, aveva presentato un piano di riduzione del numero dei seggi; nonostante nel Congresso di Stato si fossero levate voci critiche, il piano venne autorizzato.
La libertà della Purcell di cambiare un sistema di voto funzionale è stata possibile a causa di una sentenza della Corte Suprema del 2013, che ha cancellato un articolo del Vote Right Act del 1965: ogni cambiamento dei seggi a livello statale doveva ottenere l’avvallo delle autorità federali. La legge era stata introdotta per difendere il diritto di voto delle minoranze: in passato, infatti bastava approntare un seggio a chilometri di distanza da una comunità, perché migliaia di cittadini non avessero materialmente la possibilità di recarsi al voto e partecipare all’attività basilare di ogni democrazia.
La ACLU, storica organizzazione per la difesa legale dei diritti negli Stati Uniti, sta promuovendo una class action per denunciare la soppressione di voto in Arizona.
In un’area urbana di Phoenix, ad esempio, c’è stato il caso limite di un seggio per oltre 108.000 elettori.
La Purcell si è addossata tutte le colpe; per giustificarsi, ha spiegato che si attendeva un maggior voto via posta. Tuttavia non è stata in grado di spiegare perché l’affiliazione ai partiti sui registri elettorali risultava alterata in migliaia di casi. Durante l’assemblea, però, è emerso che i registri on-line erano facilmente hackerabili, non avendo particolari sistemi di protezione.
Le indagini dovranno dimostrare se in Arizona, lo scorso 22 marzo, vi sia stata una soppressione di voto solo per incompetenza del comitato elettorale dello Stato, o vi sia stato un vero e proprio imbroglio.
Sono moltissimi gli elettori democratici che avrebbero votato Sanders ad aver manifestato la loro rabbia: si sentono defraudati di un loro diritto.
Il Senatore del Vermont ha ammesso che molti suoi sostenitori lo hanno interpellato denunciando irregolarità nel voto, e ha tuonato: “questo è inaccettabile in una democrazia”. Sanders ha accolto con soddisfazione le richieste d’indagine partite dal sindaco di Phoenix e anche dal Governatore dell’Arizona Doug Douchey.
Fino ad oggi Hillary Clinton non ha espresso nessuna opinione sulla soppressione di voto dello scorso 22 marzo.
In un’altra petizione sul sito della Casa Bianca, lanciata due giorni dopo le primarie, si chiede di rivotare in Arizona: in giornata è previsto il raggiungimento delle 100.000 firme necessarie affinché il Presidente si pronunci su un’eventualità che però appare remotissima. Il Congresso di Stato dell’Arizona ha dichiarato valido il processo di voto delle primarie dello scorso 22 marzo.
Hillary Clinton si è aggiudicata 44 delegati contro i 31 di Bernie Sanders.
Primarie democratiche: l’Arizona è la punta di un iceberg
Nella serata del 22 marzo la Associated Press e la Cnn hanno proclamato Hillary Clinton vincitrice in Arizona, ma basandosi sullo scrutinio delle schede inviate per posta settimane prima della giornata elettorale: nella maggior parte dei seggi della Contea di Maricopa, ad esempio, gli scrutini non erano stati avviati perché il processo di voto era ancora in corso.
Se nelle 185.000 schede elettorali inviate via posta la Clinton risultava nettamente avanti, nel risultato del voto ai seggi Sanders è in testa con oltre il 50% delle preferenze. Secondo il trend, se il processo di voto in Arizona fosse stato regolare, di sicuro Sanders avrebbe perso con un margine ridotto, aggiudicandosi più delegati; e forse avrebbe anche potuto vincere.
Nella stessa giornata si è votato anche in Utah, lo stato a nord dell’Arizona: Sanders si è imposto con il 77% delle preferenze sulla Clinton, che ha raccolto appena il 19%. In Utah le primarie si sono svolte attraverso il caucus, ovvero la scelta del candidato avviene durante le assemblea dei sostenitori del partito nelle varie giurisdizioni, quindi senza il voto per posta.
L’esito delle primarie in Arizona ha confermato i sospetti che sono emersi dai primi voti di queste elezioni.
Infatti, prima della gigantesca soppressione di voto dello scorso 22 marzo, vi erano stati altri casi sospetti in queste primarie democratiche. A partire dalla proclamazione del vincitore in Iowa grazie al lancio della monetina in ben 6 caucus, dove i sostenitori della Clinton e i sostenitori di Sanders erano alla pari: la Clinton ha vinto tutti i 6 lanci di monetina, un esito statisticamente improbabile, spuntandola di un niente sul rivale.
Nei caucus del Nevada sono state riportate pesanti irregolarità, e un’affluenza di molto inferiore rispetto alle attese; molti elettori venivano semplicemente esclusi dai caucus, pur essendo regolarmente registrati.
In 6 contee dell’Illinois, Stato dove si è imposta la Clinton, migliaia di cittadini non hanno potuto votare perchè, come in Arizona, sui registri elettorali erano erroneamente segnalati indipendenti.
In Massachusetts è stata rilevata una grande differenza di voto nelle contee dove il conteggio era elettronico, rispetto alle contee dove invece era a mano. Nelle 68 giurisdizioni (su 351) dove il conteggio si è fatto a mano, Sanders è avanti del 17%. Alla fine, invece, la Clinton l’ha spuntata imponendosi sul rivale con appena l’1,4%. Gli attivisti di Election Integrity John Brakery e Jim March hanno richiesto di visionare i tabulati elettronici con i risultati del voto elettorale; non solo non li hanno ricevuti, ma gli è stato risposto che tutto quello che riguarda il conteggio elettronico è a carico di aziende esterne.
Lo scorso 26 marzo si è tenuto il caucus democratico nelle Hawaii: in quasi tutte le assemblee Sanders veniva confermato avanti sulla Clinton con larghi margini; eppure nessun mezzo di informazione si decideva a proclamare il Senatore del Vermont come vincitore. Dall’entourage di Sanders hanno chiamato gli attivisti sul territorio, pregandoli di non lasciare le assemblee prima dell’ufficializzazione del risultato. Per paura che, con i fari della televisione spenti, potesse accadere qualcosa di poco pulito.
In vista delle primarie nello Stato di New York, il prossimo 19 aprile, i promotori della campagna di Sanders hanno chiesto ai cittadini di ricontrollare i registri elettorali, e verificare che la loro affiliazione al partito non sia stata cambiata a loro insaputa.
Nel voto del 19 aprile si decideranno le residue speranze di Sanders di vincere le primarie democratiche, con 247 delegati in gioco.
Attualmente, secondo l’autorevole FiveFortyEight, la Clinton si è aggiudicata 1261 delegati, contro i 1031 di Sanders. In questi calcoli vengono esclusi gli oltre 500 superdelegati, la cui vasta maggioranza sarebbe a favore della Clinton; tuttavia la decisione del loro voto potrebbe mutare qualora Sanders si aggiudicasse la maggioranza del voto popolare, o la maggioranza dei delegati, a quota 2283. Un evento, quest’ultimo, valutato altamente improbabile da Nate Silver, guru dei sondaggi/scommesse. In un post pubblicato su FiveFortyEight, pronostica che la rimonta di Sanders è quasi impossibile. Anche Paul Krugman sul New York Times, unendosi al coro di voci dell’establishment del partito democratico, chiede al Senatore del Vermont di “arrendersi” alla realtà dei numeri, e di ritirarsi dalle primarie.
Nonostante Sanders, a marzo, abbia ridotto di moltissimo il suo svantaggio nella caccia ai delegati per ottenere la candidatura: secondo uno studio di Seth Abramson pubblicato sull’Huffington Post, nello scorso mese il vantaggio della Clinton è stato di appena 1%.
Anche nella raccolta fondi Sanders ha superato la rivale: tra febbraio e marzo ha ricevuto circa 85 milioni di dollari, e tutte in donazioni dal basso.
Ma ancora più importante, Sanders ha cominciato ad ottenere un po’ di copertura mediatica dai mezzi di informazione americani: prima del supertuesday dello scorso 1 marzo, quando Sanders si è imposto in Minnesota, Colorado e Oklahoma, e ha perso di un soffio in Massachussetts, molti cittadini americani non avevano ben chiaro chi fosse il rivale di Hillary Clinton. Ecco ad esempio, il divario fra gli elettori per fasce di età: Sanders si impone nettamente fra gli elettori nella fascia tra 18-44 anni, ovvero tra coloro che si informano sui social media piuttosto che attraverso la televisione. Infatti la Clinton è avanti grazie soprattutto al voto degli elettori dai 50 anni in su.
L’ascesa del senatore del Vermont è stata possibile anche grazie all’ottima prestazione negli ultimi dibattiti elettorali con la rivale; dibattiti che in teoria sarebbero finiti.
Non è ancora chiaro se la Clinton, su richiesta di Sanders, accetterà un nuovo incontro in vista delle primarie di New York. La Presidente del Comitato Nazionale del Partito Democratico Debbie Wasserman Schultz, ex manager della campagna presidenziale di Hillary Clinton nel 2008, ne aveva previsti solo 6; un numero di molto inferiore rispetto ai 24 di otto anni fa, che videro la Clinton duellare contro Barack Obama.
Un nuovo dibattito sarebbe un’ulteriore occasione per Bernie Sanders di diffondere il proprio messaggio: “un futuro in cui credere”.
Potrebbe ripeterlo di fronte a milioni di cittadini in diretta televisiva, e non solo davanti alle decine di migliaia di sostenitori che stanno riempiendo gli stadi e i palazzetti d’America. Loro ancora ci credono a Bernie Sanders come futuro Presidente degli Stati Uniti: Hillary Clinton, e la soppressione di voto, permettendo.
di Cristiano Arienti
https://en.wikipedia.org/wiki/Democratic_Party_presidential_primaries,_2016
https://www.youtube.com/watch?v=ESyXvGLMIS0&feature=youtu.be (Assemblea del Congresso dell’Arizona)
http://usuncut.com/politics/arizona-election-fraud-hearing-chaos/
#KinseyRemaklus: Voter registration data breach: 191M voters data is exposed & anyone could re-register them. #f4f pic.twitter.com/PnGPws36R8
— #ForThePeople (@BernieVolunteer) March 29, 2016
http://www.huffingtonpost.com/entry/arizona-primary-problems_us_56f41094e4b04c4c376184ca
http://www.azcentral.com/story/news/politics/elections/2016/03/23/maricopa-county-presidential-primary-election-chaos-arizona/82174876/
In letter to DOJ, @MayorStanton says "consistent activity…has created a culture of voter disenfranchisement" in AZ pic.twitter.com/x8H6FUFMUJ
— Amy B Wang (@amybwang) March 23, 2016
http://www.thenation.com/article/there-were-five-hour-lines-to-vote-in-arizona-because-the-supreme-court-gutted-the-voting-rights-act/