Colonia, una delle frontiere del nostro tempo
Accadde una dozzina di anni fa, in un piccolo locale notturno in provincia di Massa-Carrara, ai piedi della Alpi Apuane. La musica rock scuoteva i polmoni, la gola bruciava d’alcol, le luci psichedeliche maculavano di blu, di verde, e giallo i volti degli avventori: adolescenti, giovani uomini e donne, e tardi trentenni. Si ballava al ritmo punk-metalleggiante dei Rage Against the Machine, dei Dead Kennedys, dei System of a Down: ambiente di tosti, insomma, di ragazzi pronti a piantarti in faccia la mano a carciofo per uno sguardo insistito sulla fidanzata, o ragazze che ti spintonano via se ballando ti fai troppo sotto.
Era l’una di notte circa, nel pieno delle danze divertite: per il locale sono entrati in contemporanea una cinquantina di giovani magrebini, e hanno cominciato a sciamare tra la gente, come in perquisizione, alla caccia di qualcosa. O alla caccia di qualcuno. C’è voluto un minuto, non di più, per capire cosa stava succedendo. I quattro buttafuori del locale, solitamente dei mastini a disperdere poghi, se ne sono guardati bene dall’intervenire. A gruppetti di due o tre i magrebini circondavano le ragazze non accompagnate e gli si addossavano, allungandosi, lasciando viaggiare le mani. Le femmine che potevano, si sono strette al fidanzato, o all’amico accanto. Le altre si sono viste costrette a subire quell’attenzione morbosa, da molestia, e a reagire in un corpo a corpo imposto di cui avevano ribrezzo.
A un passo da me, a bordo pista, una ventenne è stata brancata; cercava di divincolarsi fisicamente, con la fatica del polso allacciato da una mano più forte. Era un suo coetaneo a serrarla, e stava cominciando a strusciarsi sul suo petto. Involontario, o automatico, è stato il mio gesto di rompere con una sbracciata la morsa sul polso della ventenne, liberandola (la stessa cosa l’ho fatta sempre in quel periodo, nello stesso locale, quando un toscano non voleva saperne del rifiuto di ragazzina). Me ne sono pentito immediatamente di quell’eroismo da discoteca, senza amici a spalleggiarmi, contro il componente di un gruppo di 50 persone. Quando il giovane magrebino si è voltato verso di me affrontandomi, gli ho visto in faccia una fame che mi ha fatto paura. La ventenne, che di paura ne aveva più di me, si è allontanata dalla pista.
“Lasciala stare”, ho detto a quello, che a pugni serrati mi torreggiava col suo metro e settantacinque. Al mio mezzo passo indietro, lui mi si è fatto ancora più sopra, nella posa che promette il menarsi.
“Lasciale stare le italiane”, ho balbettato, cercando di indurirmi, ma del tutto impreparato alla rissa e alle legnate per una tipa che nemmeno conoscevo. Capiva, non rispondeva, e mi fissava con quella fame intatta, come se, avendogli tolto il pasto di bocca, ora volesse mangiare me. Gli sentivo l’alito e il respiro. Avrebbe potuto mandarmi incosciente da un momento all’altro; io premonivo la mi vista fulminata, e le tempie esplose, da un gancio sotto il mento, il corpo obliquo in caduta all’indietro.
“Lasciale stare le italiane, sono tutte puttane”.
Questa è stata la mia difesa, vergognosa e disperata, capace di fargli disserrare i pugni; quelle parole, incenerenti la dignità di trenta milioni di donne, e quella mia, sembrarono soddisfare il magrebino, raffreddando la sua fiammata in corpo, per il sesso o per la rissa, che aveva terrificato la ventenne e stava atterrendo me.
Fece quel passo indietro che mi ridiede almeno mezzo braccio di distanza tra me e lui; all’apparenza calmatosi, si voltò a guardarle, queste italiane all’interno del locale, ma la pista si era orma svuotata di donne: rimanevano solo maschi, la maggior parte dei quali erano proprio i magrebini entrati un paio di minuti prima; si stavano guardando tra loro, come a dire: già finito?
Restai al fianco di quel ragazzo con cui mi sarei potuto menare poco prima, a gustarmi, a bermi, quegli istanti di amarezza che avrei ricordato per tutta la vita, già lo sapevo.
Sì, in pochi minuti il gioco era già finito. La musica si era abbassata, le luci sulla pista schiarentesi. Gli sguardi di tutti erano concentrati su quei corpi così uguali ai nostri eppure, in quel momento, così estranei, tanto da aver bloccato la baldoria. E quello era un locale abitualmente frequentato anche da ragazzi di origine africana. Così com’erano entrati, come una bufera, la cinquantina di magrebini se ne sciamò via, fuori dal locale.
Colonia e la libera circolazione delle donne
“Volevano soddisfare la loro lussuria, e si comportavano come se fossero al mercato per avere merce gratis, ma la merce eravamo io e la mia amica: loro erano in centinaia, e quelli più vicini mi toccavano dappertutto. Non comprendevano il tedesco, parlavano lingue arabe, quindi non noi riuscivamo nemmeno a ragionarci, o a farli desistere. La polizia, nonostante fosse nei paraggi, non interveniva; avevo molta paura perchè non sapevo fin dove potessero spingersi. Di certo non volevano derubarmi, non mi hanno portato via nulla; la dignità sì però, me l’hanno tolta. Mi hanno umiliata.”
Questo è un sunto delle parole rilasciate all’emittente tedesca SWR da Selina, una giovane donna di Coblenza, che a Capodanno si trovava alla stazione di Colonia, nella piazza della Basilica. L’intervista ricalca le denunce di un centinaio di donne, pure loro molestate o derubate dallo stesso branco, composto per lo più da giovani di origine araba. Come stanno rivelando le indagini degli organi competenti, su una quarantina di fermati, metà sono richiedenti di asilo politico provenienti dal Medio Oriente. Si sta cercando di capire se il raduno, organizzato per tempo, avesse tra gli obiettivi, oltre il festeggiare, anche quello di aggredire le donne in branco, per evitare possibili denunce.
Una strategia di molestie riportata spesso durante eventi pubblici o manifestazioni di piazza in Egitto: le donne vengono circondate da branchi di uomini e palpeggiate. E’ capitato nel 2012 alla giornalista Sara Logan della CBS, mentre stava registrando un’intervista per strada. Era il periodo delle Rivolte arabe, dove decine di migliaia di donne scendevano in piazza contro i dittatori, sfidando la repressione militare tanto quanto i maschi; non pensavano invece di doversi difendere dai tentativi di violenze sessuali.
Nel 2009, quindi ben prima delle radicalizzazione islamica a cui si sta assistendo in Magreb, al Cairo si tenne una Conferenza sul problema: in molti Paesi, dallo Yemen al Marocco, le donne preferiscono restare in casa piuttosto che circolare per strada da sole, per evitare molestie fisiche o verbali. Nel 2013 l’attivista Mona Heltahawy, commentando uno studio di Thompson Reuters sulla gravità del problema in alcuni Paesi arabi, e in particolare in Egitto, spiegava: “noi femmine abbiamo bisogno di una doppia rivoluzione: contro i vari dittatori, e un’altra contro l’intossicante binomio di cultura e religione che sta rovinando la vita delle donne.”
Ora sta apparendo con sempre più chiarezza che i fatti di Colonia assomigliano al tipo di aggressioni sessuali osservate nei Paesi arabi, il circondare una o più donne e molestarle; alla normale richiesta di giustizia per questo crimine, si aggiunge la polemica da parte di cittadini e forze politiche per la gestione dei flussi di migranti e profughi di guerra, che giungono proprio da quei Paesi.
L’accusa, in sostanza, è che stiamo accogliendo persone che, a livello culturale, hanno una concezione della donna molto diversa dalla cittadina europea libera ed emancipata.
C’è chi, però, si oppone a questo tipo di lettura dei fatti di Colonia: non vanno condannati quei giovani in quanto arabi, o profughi di guerra, ma in quanto rappresentanti di un mondo maschile che, anche in Europa, esercita violenza psicologica, fisica e verbale sulle donne. Per corroborare questa tesi, si prendono in esame i dati sulle violenze domestiche, sugli stupri, e si raccontano casi di molestie quotidiane subite da femmine in luoghi pubblici a opera uomini che non hanno nulla di magrebino o arabo. Si ricordano addirittura gli stupri etnici durante le guerre jugoslave negli anni ’90, per spiegare la notte folle di Capodanno: la colpa è di una cultura maschilista che vuole avere a disposizione le donne e il loro corpo.
Questo tipo di analisi decontestualizza i fatti di Colonia; i dati e gli argomenti sociologici sopracitati, seppur di grande attualità, non aiutano a farsi una ragione di quanto è successo a Selina la notte di Capodanno, né perchè non sia stata soccorsa dalla polizia, poco lontano dall’aggressione, mentre un gruppo di uomini le infilava le mani dappertutto.
Questo fatto ha una sua dinamica comportamentale e criminale diversa rispetto alla violenza tra le mura domestiche, allo stupro perpetrato da un individuo, o al gesto pervertito di un maniaco; per non parlare dello stupro come arma di pulizia etnica, praticato in aree di guerra civile.
Non basta affermare: è necessario sradicare la cultura maschilista e oppressiva in Italia e in Europa; che poi è un obiettivo da perseguire, affinché si garantisca una società finalmente giusta e libera per tutte le donne.
Come del resto non avrebbe senso correlare la violenza sulle donne a una religione, o a un’area di provenienza, pensando di risolvere il problema.
Sui fatti di Colonia, però, si impone una riflessione diversa: garantire la libera circolazione delle donne per la piazza principale di una grande città; o la loro stessa presenza in un locale notturno. Sembra uno scenario medioevale, ma è la frontiera che ci troviamo davanti, è una delle sfide del nostro tempo.
di Cristiano Arienti
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In copertina: Colonia di notte
E’ una storia vecchia come il mondo, purtroppo. E’ la prevaricazione del più forte (il maschio) sul più debole (la femmina). La donna ha sempre convissuto con questa condizione di subalternanza fisica (e pertanto anche morale, economica, giuridica…) rispetto all’uomo. Essa ha dovuto appoggiarsi ai maschi di riferimento per garantirsi una tutela. Così il marito, il fratello, il padre hanno determinato la vita di lei, potendo e dovendo scegliere al posto suo. Era come se la donna non avesse diritti, proprio in virtù, o vizio, di una debolezza intrinseca.
Poi la nostra storia è cambiata. Solo da quarant’anni circa nel mondo occidentale la donna sembra avere conquistato quella parità, almeno apparente, che le compete.
Speriamo che tali preziose conquiste non siano state un’illusione passeggera nella storia dell’umanità.
Speriamo che questi tristi fatti di cronaca non siano l’inizio di un’involuzione culturale dell’uomo. Ritorneremo alle società tribali, dove inevitabilmente chi è più debole, come la femmina, soccombe? Sarebbe un disastro per le “povere donne”, ma anche per gli uomini, ahimè! Che le società civili combattano con tutte le loro forze contro il nuovo maschilismo.
Grazie Alessandra per il tuo contributo; anche io sono convinto che la civiltà si misuri dal grado di integrazione della donna alla vita comune: dal nucleo familiare fino ai parlamenti e ai consigli di amministrazione. Purtroppo le conquiste non vanno mai date per scontate ma è necessario difenderle dal maschilismo e dal patriarcato di qualsiasi matrice culturale o religiosa; anzi è necessario aumentare gli sforzi per una società con vere pari opportunità, migliorando il welfare per tutte le donne che lavorano.
Credo molto nella visione e nell’esperienza delle donne, non possiamo farne a meno!