Riscaldamento Globale: lotta alla disinformazione e alle lobby
Il 22 settembre scorso l’agenzia di stampa Associated Press ha inviato ai suoi giornalisti un aggiornamento del vocabolario, in relazione agli articoli sul Riscaldamento Globale antropico: al posto di “scettici”, va utilizzata la perifrasi “che rigettano la scienza climatica dominante.”
Questa scelta linguistica è importante per due ragioni: innanzitutto offre ai cittadini un grado di certezza ulteriore su un fenomeno complesso come il Riscaldamento Globale, e i cambiamenti climatici che da esso ne derivano. Le emissioni di gas serra, spiega il documento, sono il fattore primario alla radice dell’innalzamento delle temperature terrestri: chi propone altre teorie, va contro la stragrande maggioranza della comunità scientifica. In secondo luogo, l’aggiornamento dell’Associated Press, al tramonto del 2015, segnala il grave ritardo dell’informazione nell’offrire all’opinione pubblica gli strumenti per leggere la realtà e comprendere i rischi del Global Warming. Un termine, tra l’altro, che a tutt’oggi viene utilizzato con il contagocce nei servizi di cronaca o negli articoli delle maggiori testate italiane, quando si tenta di inquadrare fenomeni climatici insoliti: dalle siccità in California agli uragani nel golfo del Messico, dalle alluvioni in Europa alla desertificazione di vaste aree; come se se si generassero spontaneamente.
La reticenza nel presentare il Global Warming Antropico come scienza, è frutto di precise scelte editoriali, al di là della capacità dei singoli giornalisti di comprendere il fenomeno. I gas serra che riscaldano il pianeta sono il prodotto dell’industria del carbon-fossile: intere nazioni basano la loro economia sul carbone, il gas e il petrolio, e spesso i principali attori di questo mercato sono partecipate statali. I colossi del carbone o del petrolio hanno il potere di condizionare la politica ai più alti livelli; a volte le scelte energetiche di un Paese coincidono con gli interessi personali di un capo di Stato: ad esempio George W. Bush e Dick Cheney, Presidente e Vice-Presidente degli Stati Uniti dal 2000 al 2008, avevano interessi nell’industria petrolifera, con il Carlyle International Energy Power e la Halliburton.
A volte però tali scelte editoriali sono giustificate dall’idea di offrire al pubblico un’informazione equilibrata: da una parte gli scienziati allarmati dal Global Warming antropico; dall’altra, gli esperti inclini a motivarlo con processi naturali, o impegnati a sgonfiarne la misura.
In questo gioco di specchi, però, i colossi del carbone e del petrolio hanno avuto un ruolo pesante; multinazionali come Koch Brothers, BP e Shell hanno inquinato la narrativa sul Global Warming per confondere l’opinione pubblica, un po’ come avevano fatto le grandi compagnie del tabacco sui pericoli del fumo. Metodi e tattiche fraudolenti sono stati raccolti in un dossier dal titolo The Climate Deception – l’Inganno Climatico, a cura di un gruppo di scienziati: l’obiettivo primario di questa propaganda è sempre stato declassare il Riscaldamento Globale antropico a una teoria tutta da provare, nonostante avesse solide basi scientifiche già negli anni ’60.
La posizione dei colossi del carbon-fossile non è mai stata in buona fede. E’ appena venuto a galla che negli anni ’70 la Exxon condusse studi che non lasciavano dubbi: la CO2 innalza le temperature di oceani e atmosfera, e altera profondamente il clima terrestre; eppure i vertici della compagnia petrolifera hanno sempre ridicolizzato l’idea che l’azione dell’uomo contribuisse al Global Warming. L’attacco più diretto avvenne prima della 3° Conferenza Mondiale sul Clima, che nel 1997 avrebbe prodotto il Protocollo di Kyoto (Unfccc): nonostante la propaganda dell’industria del carbon-fossile, oltre 180 Paesi si impegnarono ad adottare delle misure per contrastare le emissioni dei gas serra nel periodo 2005-2012. Gli Stati Uniti, sotto l’Amministrazione Clinton-Gore, avevano inizialmente firmato il Protocollo, ma con l’insediamento della Presidenza Bush-Cheney, Washington non lo ha mai ratificato.
In 20 anni però, il costante inquinamento sui mass-media, riguardo al Global Warming Antropico, da parte dei giganti di carbone e petrolio, ha pagato.
Nel 2009 a Copenaghen si tenne la 15° Conferenza Mondiale sul Clima, per rinnovare gli impegni presi a Kyoto; a causa delle posizioni di Stati Uniti, Cina e Russia, il summit fu un fallimento: non si trovò un accordo, e nemmeno una base programmatica per lavorare nelle successive Conferenze.
In realtà il Presidente degli Usa Barack Obama, aveva cercato di ridurre le emissioni di gas serra già durante il primo anno del suo mandato, nel 2009 appunto; ma si dovette confrontare con la maggioranza del Congresso Usa, e anche del Paese, persuasa che il Riscaldamento Globale Antropico fosse una bufala – i media, del resto, spiegavano che il fenomeno era ancora dibattuto nella comunità scientifica, sebbene gli “scettici” fossero una fazione esigua. Anche se Obama avesse firmato un accordo vincolante sul clima, quindi, non sarebbe mai stato ratificato a Washington.
Il fallimento di Copenaghen 2009 è stato uno shock per la comunità scientifica: un’inchiesta di John Richardson pubblicata su Esquire racconta di come molti scienziati climatici siano caduti in depressione, o abbiano addirittura abbandonato la carriera accademica: hanno sentito sulle spalle la responsabilità per non essere riusciti a sensibilizzare politici e opinione pubblica su un problema devastante per il futuro dell’umanità, se non verranno prese misure urgenti.
Attraverso i dati, gli scienziati prevedono un innalzamento delle temperature con una forbice tra i 2°C (limite massimo stabilito arbitrariamente dalla Comunità internazionale) e i 6°C: nei modelli climatici più favorevoli, come spiega la Nasa, gli oceani si innalzeranno di almeno un metro nei prossimi 100 anni, sommergendo le regioni costiere; in quelli peggiori, i cambiamenti climatici saranno così rapidi e imprevisti che intere aree del pianeta verranno sconvolte; i rifugiati climatici si conteranno a centinaia di milioni.
Nell’inchiesta dell’Esquire viene descritta la parabola di Jason Box; nel 2014 il glaciologo americano è stato criticato per aver espresso disperazione dopo la scoperta che le particelle di metano nel Mare Artico si liberano nell’atmosfera: un’indicatore che il Global Warming, al momento irreversibile, è in fase di accelerazione. Box, spiegando che le generazioni future dovranno armarsi di resilienza e flessibilità per affrontare i cambiamenti climatici, si mostra molto pessimista: “il sistema economico è dominato dall’industria del carbon-fossile, solo uno shock potrebbe rallentare l’innalzamento delle temperature: ad esempio, con il crollo di carbone e petrolio in borsa, in previsione del boom delle fonti di energia rinnovabili”.
La politica e i cittadini sotto assedio
In questo 2015 la percezione sul Riscaldamento Globale sta cambiando; perché è l’anno delle temperature più alte mai registrate da che esistono misurazioni, come ha rilevato l’Agenzia Americana per il Monitoraggio di Oceani e Atmosfera (Noaa): lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento degli oceani vanno a velocità record. Ma la visuale si sta trasformando anche perché alcuni leader mondiali hanno definito i cambiamenti climatici una minaccia per l’umanità: Papa Francesco, con la sua Enciclica sull’Ambiente, e Barack Obama, con i suoi ripetuti Discorsi sul Clima, stanno aprendo gli occhi all’Occidente, essendo il resto del mondo ben cosciente della gravità del problema (Fonte: Pew Research).
Obama si è esposto definendo i Cambiamenti Climatici (e quindi il Global Warming) la più grande minaccia del XXI secolo; ma solo dopo che nel 2014 gli Stati Uniti hanno firmato accordi bilaterali con la Cina sulle emissioni di gas serra, da ridurre – almeno per Washington – del 26% entro il 2025 (rispetto alle misure del 2005); le emissioni verranno poi limitate progressivamente per mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto i 2°C entro il 2100.
I vertici di Pechino hanno compreso che la questione ambientale mette a rischio la stabilità del Paese, con i cittadini esasperati dall’inquinamento atmosferico; a partire dal 2017 introdurranno una misura di cap-and-trade sul carbone, simile a quella lanciata dall’Unione Europea.
Tuttavia l’accordo tra Cina e Stati Uniti, in vista della prossima Conferenza mondiale sul Clima, è stato giudicato inadeguato da autorevoli voci; la riduzione è inferiore del 30% rispetto a quella promessa dall’Unione Europea.
Il “vecchio continente” è in prima linea nel contrasto al Global Warming, una posizione doverosa, visto che produce gas serra da più di due secoli. Un approccio insidiato dai colossi del carbon-fossile, che tentano di condizionare le politiche energetiche e ambientali di Bruxelles; anche quando sono già state avvallate dai vari organismi continentali.
Ma è negli Stati Uniti che la lobby dell’industria del carbon-fossile ha la capacità di influenzare pesantemente le politiche energetiche, manipolando i politici, “comprandoli”.
In un Report del MIT (Massachussets Institute of Technology) uscito nel 2014 – e firmato da 2400 accademici – si stima che l’industria del Carbon-Fossile abbia finanziato rappresentanti del Congresso Americano con centinaia di milioni di dollari; hanno ricevuto soldi soprattutto i Repubblicani nelle Commissioni dell’Energia e dell’Ambiente, proprio quelli che hanno bloccato leggi per limitare le emissioni dei gas serra, e bollano il Riscaldamento Globale come una bufala.
In pochi anni, però, anche la posizione dei giganti del carbon-fossile pare essere mutata: Eni, ad esempio, è uno dei principali attori del fotovoltaico in Italia; Ben Van Beurden, boss della Shell, ha dichiarato che il solare sarà la colonna portante dell’energia globale del futuro. Tuttavia gli investimenti e la fiducia nelle rinnovabili stridono con la realtà: Eni sta per cominciare l’estrazione di petrolio nel giacimento norvegese Goliath, nel Mar di Barents; la Shell comincerà presto a trivellare i fondali al largo delle coste dell’Alaska. Un interesse, quello per il carbon-fossile intrappolato nei fondali dei Mari Artici, che sta crescendo sempre di più, in concomitanza con lo scioglimento della banchisa del Polo Nord.
A prima vista sembra una contraddizione: i principali responsabili dei cambiamenti climatici, pur continuando investire nel carbon-fossile, credono nel futuro delle rinnovabili. In realtà lo scopo di compagnie come Eni e Shell non è la lotta al Riscaldamento Globale, ma controllare il mercato energetico: oggi il petrolio, domani ancora il petrolio, e dopodomani, forse, il solare, l’eolico, e il marino. Per questo i colossi del carbon-fossile hanno costituito la Energy Transitions Commision; l’ente privato si propone di consigliare i governi e gli organismi della Comunità Internazionale nel gestire la transizione: dalle fonti energetiche tradizionali a quelle rinnovabili; dal loro punto di vista, il contrasto ai cambiamenti climatici non deve mettere a rischio l’economia mondiale, identificata con il loro business. Al primo posto, insomma, rimane il profitto, e non la soluzione della crisi ambientale: uno scenario che il filosofo Emanuele Severino giudica autodistruttivo.
Non si pensi che l’attivismo della lobby del carbon-fossile, nell’influenzare le decisioni sui cambiamenti climatici, non abbia successo: il premier britannico David Cameron ha nominato come suo consigliere per le politiche ambientali Stephen Heidari-Robinson, con una lunga carriera in aziende petrolifere.
Resta da capire quanto tempo ancora i cittadini sopporteranno la lentezza della classe politica e dirigente nel reagire ai cambiamenti climatici; sempre che vengano pienamente informati sulla gravità del problema.
“Il ruolo dei media, come dichiarò John Fitzgerald Kennedy, è di tremenda importanza affinché i cittadini agiscano di fronte alle sfide”. Per questo l’aggiornamento del vocabolario della Associated Press potrebbe risultare vitale in vista delle prossime Presidenziali Usa; il candidato repubblicano Jeb Bush, membro di una dinastia di petrolieri, e i suoi contendenti, non credono che il Global Warming derivi dall’azione dell’uomo. Se i giornalisti cominciassero a definirli persone che rigettano la scienza climatica dominante, “adempirebbero al ruolo, sempre nelle parole di Kennedy di informare e allertare i cittadini”.
di Cristiano Arienti