Hillary Clinton, la candidata senza passato
Nell’estate del 1974 l’avvocato Hillary Rodham fu assunta nello staff della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (House Justice Committee), supervisionata dal Direttore Jerry Zeifman, un democratico. Al culmine dello scandalo Watergate, la Commissione era impegnata a definire il quadro legale dell’atto di impeachment di Richard Nixon; il Presidente Usa doveva rispondere di un gruppo di agenti della Cia, i plumbers di E. Howard Hunt, incaricati di prevenire o gestire, anche illegalmente, fughe di notizie compromettenti per la Casa Bianca, o per le precedenti amministrazioni.
Secondo la testimonianza di Zeifman, la 27enne Hillary Rodham cercò di convincere la Direzione della Commissione a negare l’assistenza legale a Nixon: un processo con formali interrogatori rischiava di far emergere segreti scomodi anche delle amministrazioni di John F. Kennedy e di Lyndon B. Johnson. In realtà non si arrivò mai a quel punto: il leader del partito repubblicano dell’epoca, George H. W. Bush, pretese le dimissioni del Presidente in carica prima dell’inizio del processo di impeachment. Contemporaneamente all’uscita di Nixon dalla Casa Bianca, anche Hillary Rodham terminò il suo rapporto professionale con la Commissione, ma senza ricevere la consueta lettera di raccomandazione del Direttore dello staff; Zeifman, anni dopo, si giustificò accusando la giovane avvocato di comportamento scorretto e disonesto: la futura moglie di Bill Clinton avrebbe distrutto e inquinato i documenti di un precedente giudiziario, favorevole all’assistenza legale per Nixon.
Oltre 40 anni dopo lo scandalo Watergate, gli Stati Uniti, per l’ennesima volta, sono in fibrillazione per quell’avvocato: la 67enne Hillary Rodham Clinton correrà, è il secondo tentativo, per diventare Presidente. Senza contare la precedente permanenza alla Casa Bianca, durante l’amministrazione di Bill Clinton, con in mano agende per riforme nella sanità, nel campo assicurativo e in quello educativo.
Già nel 2013 l’ex first lady aveva lasciato intuire le sue intenzioni, dimettendosi da Segretario del Dipartimento di Stato dell’Amministrazione Obama. E proprio la sua conduzione della politica estera Usa, con la guerra in Libia e il supporto a gruppi radicali, verrà messa sotto la lente di ingrandimento da parte della stampa americana e mondiale. Come già lo sono i finanziamenti alla Fondazione Clinton da parte di Stati come l’Arabia Saudita: la monarchia assoluta di Ryyad mantiene posizioni ambigue rispetto a movimenti jihadisti come l’Isis, senza dimenticare che membri della famiglia reale sono implicati nell’attentato terroristico dell’11 Settembre. E si guardano con sospetto i finanziamenti ricevuti da enti privati con patrimoni nei paradisi fiscali, come ad esempio la Svizzera.
Se la Clinton, nello spot elettorale che lancia la sua candidatura, si propone come il “campione” delle famiglie comuni e dell’occupazione, in realtà sarà anche (o soprattutto) il Presidente delle multinazionali e del settore finanziario: durante le sue campagne elettorali per il seggio al senato nel 2000 e le primarie democratiche del 2007–08, ha ricevuto milioni di dollari da parte di Wal-Mart, CityBank, JP Morgan, Goldman Sachs. L’amministrazione del marito, con Robert Rubin e Larry Summers al Ministero del Tesoro, avanzò una serie di deregolamentazioni che posero le basi per la crisi del 2007–2008: ad esempio la cancellazione della legge Glass-Steagall del 1933 (separazione tra istituti di credito e quelli di investimento), o la mancata regolamentazione del mercato dei derivati, i prodotti finanziari che hanno gonfiato la bolla immobiliare dei subprime. Se dalla crisi l’economia reale ne è uscita a pezzi, le fondamenta di Wall Street sono rimaste in piedi, più salde che mai: i banchieri influenzano le politiche di regolamentazione del settore (vedi la Dodd-Frank del 2010), rendendo le varie Goldman Sachs, JP Morgan e Citygroup di fatto intoccabili — too big to fail, too big to jail, come ha spiegato l’ex Segretario alla Giustizia Eric Holder.
Hillary Clinton, poi, sarebbe il male minore per i gruppi di potere neo-conservatori, che auspicano una politica estera Usa militarmente aggressiva e unipolare. Il loro candidato ideale è il repubblicano Jeb Bush, figlio dell’ex Presidente George H. W. Bush, e fratello dell’ex Presidente George W. Bush; ma le scelte della Clinton durante i mandati da Senatrice (2001–09) e Segretario di Stato (2009–13), parlano chiaro: nel 2003 ha appoggiato la guerra in Iraq dell’amministrazione Bush-Cheney, nonostante le prove sulle armi di distruzione di massa fossero disconosciute dalla comunità dell’intelligence; nel 2009–10 è stata una fautrice del surge in Afghanistan, inviando 30.000 truppe sul campo e aumentando i bombardamenti; nel 2011 ha spinto per l’intervento militare nella guerra civile in Libia, per spodestare Gheddafi; tra il 2012 e il 2013 ha assecondato lo sforzo del Senatore John McCain per abbattere Assad e armare i ribelli siriani: anche quelli poi confluiti nell’Isis, con effetti destabilizzanti in Iraq. La Clinton ha paragonato Vladimir Putin ad Adolf Hitler nel periodo in cui il Dipartimento di Stato inquadrava il dittatore russo come un nemico, e l’Ucraina come un nuovo fronte strategico. Nel 2014 Robert Kagan, co-fondatore del PNAC (Progetto per un Nuovo Secolo Americano) e storico ideologo di un pianeta unipolare a trazione Usa, lo ha espresso chiaramente: in politica estera Hillary Clinton ha agito in continuità con il militarismo americano e la difesa della Sicurezza Nazionale.
Anche in politica interna, secondo vari analisti, l’agenda di Hillary Clinton non apparterrebbe a una vera forza progressista, capace di difendere i lavoratori e la classe media americana. Per questa ragione, i liberal del partito democratico stanno facendo pressioni sulla Senatrice Elizabeth Warren affinché si candidi alle primarie presidenziali. Negli ultimi anni la Warren si è distinta in Commissione Affari Economici del Senato per le sue battaglie contro Wall Street e i gruppi bancari incardinati nella politica americana. Sebbene le chance della Senatrice democratica siano esigue, una sua candidatura costringerebbe la Clinton a sbilanciarsi su temi molto sentiti: regolamentare il settore finanziario, difendere l’occupazione, imbrigliare il liberismo, frenare i cambiamenti climatici.
Di questo si dovrebbe parlare in una campagna elettorale per la Casa Bianca. Tuttavia si dovrebbe anche conoscere la storia di un candidato: nel suo passato vi sono scheletri che lo comprometterebbero agli occhi degli elettori?
Della Warren non si sa granché; e qualora si candidasse alla Casa Bianca, la sua vita privata e pubblica verrebbe scrutinata fin nelle pieghe più recondite. Di Hillary Clinton, all’opposto, molti conoscono, o pensano di conoscere, tutto del suo passato; anche degli anni in Arkansas, quando il marito è stato per 10 anni Governatore, e lei affermato avvocato del prestigioso Studio legale Rose Law Firm.
Per tutti gli anni ’90 Bill e Hillary sono stati la coppia più chiacchierata, spettegolata e indagata del pianeta.
Durante la permanenza alla Casa Bianca, i Clinton sono stati sotto indagine per lo scandalo Whitewater, una frode immobiliare ai danni di decine di risparmiatori; la Commissione Affari Bancari della Camera ha passato in rassegna le attività oscure dell’ADFA, un’Agenzia per lo sviluppo in Arkansas, finanziata con centinaia di milioni di dollari di dubbia provenienza. A 22 anni di distanza, si guarda ancora con sospetto al suicidio di Vince Foster, partner di Hillary Clinton al Rose Law Firm e portato alla Casa Bianca in qualità di Consigliere speciale. I Clinton, poi, sono stati implicati nella Mena Connection: negli anni ’80 alcuni voli della Cia decollavano dagli Usa con armi per i Contra del Nicaragua, e tornavano carichi di cocaina del Cartello di Medellìn; un’operazione supervisionata dal National Security Council del Vice-Presidente George H. W. Bush. Si sa anche che Hillary Clinton, alla fine degli anni ‘70, seguì le scalate alla First American e alla Bank of Georgia da parte della Stephens Inc.; in questa operazione il socio occulto era la BCCI, una banca chiusa nel 1991 per bancarotta fraudolenta, e con correntisti i maggiori gruppi criminali e terroristi del pianeta, oltre che la Cia. Jackson Stephens, della Stephens Inc., finanziò la campagna presidenziale di Bill Clinton nel 1991–92, aprendogli un credito alla Worthen Bank, nata nel 1984 con i soci della BCCI al 10%.
La portata di questi scandali ridimensiona la gravità della maniacale vita extra-coniugale di Bill Clinton; eppure, non fanno più notizia. Forse perchè, a parte il Whitewater e, appunto, il lato donnaiolo di Bill, non sono mai stati una vera notizia: la Mena Connection, o l’affare BCCI, non compromettono solo i Clinton, ma infangano il sistema politico americano, compresa la famiglia Bush e il partito Repubblicano.
E ormai la stampa americana, fin dai tempi dell’amministrazione Reagan-Bush, ha perso l’attitudine allo scetticismo e alla critica, armi basilari del mestiere del giornalista; lo ha spiegato il premio Pulitzer Robert Parry: i mezzi di informazione americani, comprese le cosiddette testate liberal, praticano un giornalismo patriottico quando è in gioco un’idea di sicurezza nazionale; insabbiano notizie scomode e compromettenti, se relative a fatti che rischiano di mettere in crisi la credibilità del sistema.
E nel sistema politico americano, la Clinton è uno dei perni centrali da più di 20 anni: sia come attrice protagonista nei teatri di Washington, sia come testimone diretta nel dietro le quinte del potere.
Per questo motivo la campagna alle Presidenziali Usa del 2015–16 vedrà in scena una candidata senza passato: o meglio, con un passato filtrato attraverso lenti selettive; si parlerà di Hillary sotto ogni punto di vista, ma non si scandaglieranno i lati tenebrosi: a partire dalle manovre poco chiare nel caso Watergate, al supporto legale ai soci americani della BCCI, alle accuse di riciclaggio dell’ADFA. Memorie che agli occhi di molti elettori democratici renderebbero Hillary Clinton un candidato irricevibile.
di Cristiano Arienti
In copertina: Hillary Clinton alla Commissione Giustizia della Camera nel 1974