11 Settembre: il coraggio di una madre e le verità nascoste
Nel 2006, durante la presentazione della Timeline relativa agli eventi dell’11 Settembre, ha preso la parola la madre di una delle vittime degli attentati terroristici che nel 2001 sconvolsero l’America: Donna Marsh O’Connor, aprendo il suo cuore e mostrando il tormento per la perdita di sua figlia Vanessa, ha regalato un discorso coraggioso, che si inserisce nella tradizione oratoria americana sul senso della libertà, della democrazia e della giustizia. Parole, quelle di Donna, di grande valore morale e politico, che costituiranno un appiglio di salvezza all’America del domani, quando le generazioni future si interrogheranno sull’11 Settembre, e sul perché il Paese, negli anni 2000, non abbia preteso la verità sul più odioso degli attentati terroristici.
Una verità che di certo non è uscita dalla “9/11 Commission”, istituita dalla Casa Bianca 400 giorni dopo gli eventi; Max Cleland, vicepresidente della Commissione, si è dimesso ben prima del rapporto finale, accusando l’amministrazione Bush-Cheney di insabbiamento. E recentemente il presidente della “9/11 Commission”, Thomas Kean, ha ammesso che la verità è ancora tenuta nascosta agli Americani; Kean si riferisce, in particolare, a un capitolo del rapporto della “9/11 Joint Commission”: in quelle 28 pagine interamente classificate, basate sul materiale raccolto dalla Cia, l’Fbi, e i servizi segreti, è stato documentato il sostegno logistico e finanziario che alcune potenze straniere hanno garantito ai dirottatori nei due anni precedenti all’attacco. L’ex senatore Bob Graham, vicepresidente di quella “9/11 Joint Commission” e supervisore di quelle 28 pagine, ha pubblicamente denunciato che i terroristi vennero supportati concretamente da elementi dei servizi segreti e del governo saudita: ad esempio da persone vicine al principe Bandar Bin Sultan, all’epoca ambasciatore saudita a Washington e oggi Segretario generale della Sicurezza e dei Servizi Segreti dell’Arabia Saudita. Il principe Bandar il 13 Settembre 2001 venne accolto alla Casa Bianca e gli fu concesso dal presidente George W. Bush in persona il permesso di espatriare 144 sauditi appartenenti alla famiglia reale e al corpo diplomatico. Successivamente ottenne una speciale immunità diplomatica per tutti i Sauditi in qualche modo collegati con gli attentati dell’11 Settembre.
L’amministrazione Bush-Cheney non ha mai preso in considerazione l’ipotesi di indagare il rapporto tra dirottatori e la famiglia reale saudita. Come del resto non aveva mai preso seriamente i ripetuti avvertimenti dell’imminenza di un “attentato multiplo contro città e obiettivi americani usando aerei commerciali ed esplosivi” (PressDailyBriefing 6 agosto 2001). Nonostante George Tenet, all’epoca direttore della Cia, considerasse la minaccia credibile al 100%, e il 17 agosto 2001 fosse volato in Texas per convincere Bush della gravità del momento, l’amministrazione Bush-Cheney lasciò che l’America si trovasse con la guardia completamente scoperta (fonte AP).
Due dei futuri dirottatori vennero inseriti in una lista di potenziali terroristi (anche se ai livelli più alti la Cia ne conosceva le mosse già da 20 mesi – fonte) ma questo non bastò a farli arrestare, e nemmeno a bloccarli in un check-in. La “9/11 Commission” ha sentenziato che ci fu una grande negligenza da parte dell’Intelligence americana, perché non è stata in grado di far capire al Presidente Bush, al suo vice Dick Cheney, al Consigliere alla Sicurezza Condoleezza Rice, al ministro della Difesa Donald Rumsfeld e al suo vice Paul Wolfowitz, quanto fosse reale la minaccia terroristica.
Oggi però sappiamo che non si tratta solo di un fallimento da parte dell’Intelligence, ma di una totale indisponibilità da parte dell’amministrazione Bush a sventare l’attacco: o per negligenza oppure, e sarebbe il compito di una Corte stabilirlo, per altri fini.
Da Louis Freeh, ex direttore Fbi (1993-01), a Richard Clarke, ex consigliere al contro-terrorismo alla Casa Bianca (1998-02), a Raymond McGovern, agente Cia responsabile dei Press Daily Briefing con i presidenti Usa Ronald Reagan e George H.W. Bush, a Wesley Clark, ex Comandante delle Forze armate Usa in Europa, a Michael Scheuer, ex agente Cia capo di Alec Station, l’unità alla caccia di Bin Laden e Al Qaeda (1996-1999): tutti considerano il rapporto finale della “9/11 Commission” del tutto inadeguato e lontano dall’appurare le vere responsabilità rispetto agli attacchi dell’11 Settembre.
Coleen Rowley è l’agente Fbi che nell’agosto 2001 arrestò Zacarias Moussaoui, coinvolto negli attacchi dell’11 Settembre; nel 2002 la Rowley ha denunciato pubblicamente di essere stata bloccata nelle indagini nonostante avesse capito che dei terroristi legati ad Al Qaeda stessero preparando un attentato “schiantando qualcosa contro il WTC”. Da anni la Rowley, oggi docente di Etica, preme per la riapertura di un’indagine per accertare le responsabilità di tutti coloro che in vario modo hanno ostacolato i tentativi di sventare gli attentati. Alcuni sono andati davvero vicino a scoprire il piano terroristico: ad esempio, oltre alla Rowley stessa, gli agenti Fbi Anthony Schaffer, Robert Wright, Alì Soufan, Mark Rossini, Ken Williams, tanto per citarne alcuni; tutti loro, impegnati in indagini separate, hanno testimoniato di essere stati boicottati o intralciati mentre cercavano di fermare i futuri dirottatori.
“Quando qualcuno commette un’azione sbagliata in una scena criminale”, ha spiegato la Rowley in un’intervista alla ABC del 2010, “esistono vari gradi di responsabilità: l’ipotesi peggiore è che la persona fosse a conoscenza del crimine, e quindi complice; la minore è la negligenza, che però a volte può diventare imperizia, omissione, imprudenza: comportamenti che a livello penale si configurano come una colpa, magari generica, ma pur sempre una colpa. Nel mio caso confermo che il comportamento di chi ha ostacolato l’indagine della mia squadra potrebbe benissimo essere soggetto a denuncia; la “9/11 Commission” ha giudicato diversamente, ma secondo me quel comportamento rasenta una negligenza colposa, e quindi una Corte potrebbe giudicarlo come un reato. Quelle persone verrebbero punite. Chi aveva una qualche responsabilità sul fatto che gli attentati non sono stati fermati, di certo non l’ha ammessa. Se pensiamo che l’11 Settembre è avvenuto perchè comportamenti del genere sono stati numerosi e ripetuti a ogni livello, si comprende il perché le responsabilità non sono state accertate: chi ha sbagliato ha fatto di tutto per ridimensionare o nascondere i propri errori. Si comprende, perciò, la ragione per cui molti pensano che non sia stata fatta giustizia, e chiedono la riapertura di un’indagine penale. L’idea di ottenere giustizia è fondamentale per chi ha vissuto sulla propria pelle un crimine, o un trauma così forte come l’11 Settembre: è necessario per riappacificarsi, per andare avanti nella vita, e guardare con fiducia al futuro.”
E’ esattamente il pensiero di Donna Marsh O’Connor, espresso però senza i tecnicismi della Rowley, ma attraverso un discorso che va dritto al cuore, e lì ci rimane come prezioso insegnamento di vita. Un discorso che tutt’oggi non ha scalfito le coscienze di chi avrebbe la possibilità di fare veramente luce sugli eventi dell’11 Settembre.
“Dio aveva benedetto l’America, e guardate come l’abbiamo ridotta”
“Vorrei iniziare introducendo Donna Marsh O’Connor. Donna è la madre di Vanessa Lang Langer, morta nella “Torre 2″, al 93° piano. E’ giunta qui dallo Stato di New York, diamole un calorso benvenuto, grazie.”
“Grazie. Lei, Vanessa, è la mia motivazione. George W. Bush dice: “Dio benedica l’America”. Dio lo ha già fatto: ci ha benedetto tante, tante volte. Ma in quel giorno è stato l’Uomo che ci ha maledetto, non Dio. Ed è stata nelle mani degli uomini, sin da allora, la responsabilità di indagare ogni cosa: indagare gli eventi che hanno portato all’11 Settembre, gli eventi durante l’11 Settembre, e gli eventi post-11 Settembre.
So che la stampa copre quotidianamente gli eventi post-11 Settembre: ma mi sento, onestamente, abbandonata; se metto in dubbio una qualsiasi cosa riguardo alla versione ufficiale, vengo chiamata “complottista”. Mia figlia era al 93° piano della “Torre 2”: cinque minuti dopo l’impatto del primo aereo contro la “Torre 1”, era al telefono con gli Uffici di Park Avenue della Regus Business International, società per cui lavorava nel distaccamento del World Trade Center. Era in cinta di quattro o cinque mesi, a seconda della versione di famiglia, o di quella del medico che ha esaminato le ossa del feto. Vanessa era alla sua scrivania, spiegando all’ufficio di Park Avenue che alla Polizia di Port Authority e a quelli negli edifici avevano detto di stare tranquilli perché erano al sicuro, e quindi di rimanere al proprio posto di lavoro. Non era al sicuro, ma Vanessa si è quasi salvata.
Il corpo di mia figlia è stato uno fra i 283 ritrovati interi e intatti. Il direttore dei funerali – mia figlia è stata tirata fuori dalle macerie il 24 settembre – il direttore dei funerali mi ha detto che Vanessa, quando mi hanno notificato il suo ritrovamento il 6 luglio 2002, appariva proprio come avrei voluto che apparisse. Quindi ho chiesto di poterla vedere. E ho ricevuto supporto anche dall’ufficio di Hillary Clinton. Ma mio figlio non me l’ha permesso, potevo vederla solo se gli fosse stato concesso anche a lui, e io non me la sono sentita di farlo passare attraverso questa sofferenza.
Mi ci sono voluti quattro anni per trovare la forza di vedere le immagini del corpo di Vanessa.
Questa è una fotografia di mia figlia senza trucco. Sarebbe molto contrariata di sapere che sto mostrando una fotografia di lei senza trucco. Era splendida. E ho sempre avuto paura che la sua bellezza potesse metterla in pericolo. Quel giorno è andata al lavoro, e nel cruscotto della sua auto – una Ford Explora che all’epoca era la macchina più pericolosa d’America, glielo avevo spiegato – nel cruscotto della sua auto teneva il test positivo della gravidanza. Tutto quello che voleva nella vita era quel bambino; tutto quello che voleva era quel bambino che adesso avrebbe cinque anni e starebbe camminando accanto a me, oggi.
Per farla breve, negli istanti in cui mia figlia era al telefono con gli uffici di Park Avenue, grazie a Paul Thompson, so che è all’incirca l’ora in cui George W. Bush entrava in una scuola per tenere una lezione a dei bambini. Non si è precipitato al centro di comando, non ha ordinato l’evacuazione dei principali grattacieli del Paese, inclusa – e a maggior ragione – la “Torre 2”.
Mia figlia è stata trovata a tre metri da un’aiuola, intera e intatta. Non era schiacciata, non è caduta nel vuoto: aveva traumi da impatto alla testa, al collo e al femore. Il referto della sua autopsia è pubblico. Ho due figli, e Vanessa era la miglior amica di uno dei due, che all’epoca aveva 14 anni. Il 12 settembre mio figlio 14enne l’ha cercata per telefono in tutti i pronto-soccorso di tutti gli ospedali di New York, perché l’eventualità che fosse morta non era possibilie. Mia figlia si sarebbe precipitata fuori di corsa per salvarsi la vita, mia figlia si sarebbe precipitata fuori per non rendere i suoi fratelli gli esseri umani più tristi sulla faccia del pianeta.
Una sola cosa ho chiesto alla prima giornalista locale, nel nord dello Stato di New York – quando è venuta da me dicendomi che mi avrebbe permesso di raccontare la bella storia di mia figlia – la sola cosa che ho chiesto è stata: perché io non ho potuto prendere un volo da Toronto ma la famiglia di Osama Bin Laden e alcuni cittadini dell’Arabia Saudita – di cui non conosco nemmeno il nome – sono stati fatti volare fuori dal Paese, usando lo spazio aereo che era stato chiuso? Io sono stata lasciata a terra, non loro. Ho chiesto alla giornalista quel giorno: dove era il Norad (ndr: Difesa dello spazio aereo del Nord Atlantico), dov’era? Dove erano i nostri sistemi difensivi? E invece la giornalista ha raccontato i due bei minuti di storia della mia coraggiosa e incantevole figlia. E così è stato per 5 anni. La prima cosa che i membri della stampa mi chiedono sempre, e qualche volta dei singoli familiari delle vittime, è questa: dove sono gli altri parenti delle vittime? Perché non state tutti protestando?
E io vi dirò che da 5 anni, nella mia piccola comunità nel nord dello Stato di New York, pongo questioni. E per questo i miei figli sono stati amati da alcuni, ed evitati da altri, perché la loro madre segue le teorie complottiste. Non sono una complottista. Teorizzavo alla Syracuse University, dove per 22 anni ho insegnato scrittura e recitazione in “Discorso pubblico americano”, e non riesco più a farlo. Non vedo mia figlia da 5 anni, eccetto nella mia mente, dove è il mio “screensaver”, e questo governo mi ha reso una vittima delle teorie complottiste, perché non ha risposto pienamente, o non ha permesso a nessuno di porre le vere domande riguardo all’11 Settembre. Ed proprio questo che sto chiedendo a voi oggi, di cercare la verità.
Non siamo pazzi: poniamo delle domande, pretendiamo delle risposte. Non voglio spiegazioni paternalistiche dal mio governo. Sono un genitore e voglio far crescere i miei figli in modo che un domani vadano al lavoro, vivano le loro vite, che facciano – come Rudy Giuliani ci ha detto di fare poco dopo l’11 Settembre, per salvare l’economia – che facciano shopping; voglio poter dire loro: questa è la vostra terra, questo è il vostro Paese.
Noi non saremo mai più al sicuro, non siamo mai stati al sicuro; non c’è un uomo, una donna, un politico su questa terra che ci può salvare: ma possiamo rendere le nostre vite più sicure, rifiutando di continuare a tenere nascosta la verità. Non osservate le stelle per cercare le risposte: noi stiamo chiedendo una nuova indagine sugli eventi dell’11 Settembre. E questa volta un’indagine vera, bipartisan, complessiva, con le famiglie coinvolte dall’inizio alla fine.
Dio aveva benedetto l’America, e guardate come l’abbiamo ridotta. Grazie.”
Donna Marsh O’Connor
Articolo e traduzione di Cristiano Arienti
In copertina: Donna Marsh O’Connor regge la fotografia di sua figlia, Vanessa Lang Langer, vittima dell’11 Settembre
Fonti e link utili
https://www.youtube.com/playlist?list=PLuixP6qJ-mpEFiPhb2M-jKk757oJ_th0X
http://www.historycommons.org/project.jsp?project=911_project La Timeline dell’11 Settembre di Paul Thomposn
http://www.wanttoknow.info/officialsquestion911commissionreport
http://28pages.org/ (sito che supporta la declassificazione del capitolo della “9/11 Joint Commission” sui legami tra i dirottatori e alcune potenze straniere.
https://www.youtube.com/watch?v=JtexU8O-37E&feature=youtu.be (conferenza stampa del 9-9-2014 dei promotori della risoluzione H.R. 428 al Congresso americano, per la declassificazione delle 28 pagine della “9/11 Joint Commission.
https://www.umanistranieri.it/2014/06/continua-la-lotta-dei-parenti-delle-vittime-dell11-settembre-per-avere-giustizia/ (articolo sulla H.R. 428 e la lotta dei parenti delle vittime dell’11 Settembre per la declassificazione delle 28 pagine)