Guerra Gaza-Israele, pace è una parola vuota
Milano – 13 novembre 2012. “Tra Palestinesi e Israeliani esiste uno stallo, diciamo pure un equilibrio, che difficilmente si romperà: in Cisgiordania i burocrati dell’Autorità nazionale palestinese non hanno interesse a generare tensioni, e a Gaza, non più isolata dopo l’apertura delle frontiere da parte del nuovo governo egiziano, la vita sta lentamente migliorando, e comunque ad Hamas basta dettare la sua legge nella Striscia. Non credo poi che Israele possa più permettersi azioni militari eclatanti”.
Parole pronunciate dall’ambasciatore Sergio Romano alla Conferenza “Mediterraneo, Europa, Stati Uniti dopo la rielezione di Obama” presso il Cipmo di Milano. Una lettura superficiale della questione israelo-palestinese, che denota sprezzo per una terra per due popoli, dove il giorno dopo è scoppiata una guerra capace di destabilizzare tutto il Medio oriente. Conta poco chi sia stato a cominciare: Hamas, che aveva rivendicato il lancio di missili in Israele, o Tel Aviv, che ha reagito con l’omicidio mirato del capo militare del partito fondamentalista che regna a Gaza.
L’equilibrio di cui parlava Romano rappresentava piuttosto la cecità dell’Occidente di fronte a un teatro dell’assurdo: Israeliani che rivendicano il diritto ad esistere, ed espandersi in Palestina, e perciò perseguono una politica di apartheid nei confronti dei Palestinesi. Infatti una debole risposta all’analisi di Romano è arrivata da Vittorio Emanuele Parsi, docente di politica internazionale alla Cattolica di Milano:
“Mi permetto di dire che gli arabi, a differenza di noi, non dimenticano il conflitto Israelo-Palestinese, perché si sentono umiliati dalle condizioni di vita dei Palestinesi a Gaza e in Cisgiordania.”
E l’inviato del Sole 24 Ore Ugo Tramballi ha sottolineato come oggi il mondo arabo è mutato rispetto al 2008, quando Israele diede il via a “Piombo fuso” un attacco aereo e terrestre sulla striscia di Gaza, da dove erano partiti razzi lanciati nella speranza di uccidere uomini donne e bambini ebrei. Tanto per capire chi sono i guerriglieri della galassia di Hamas. Allora fu l’apocalisse nella striscia di Gaza: oltre 1400 morti in 24 giorni, quasi tutti civili, uomini donne e bambini, senza contare migliaia di feriti e gente segnata nella psiche.
Chi era al potere in Nord Africa girò la testa dall’altra parte. L”Unione europea restò impotente; negli Stati Uniti c’era il passaggio di consegne da un presidente all’altro. La Turchia alzò la voce, ruppe poi i ponti diplomatici, ma Ehud Olmert, l’allora premier israeliano, ottenne la resa di Hamas.
Adesso in Egitto ci sono i Fratelli Musulmani al comando, e hanno bollato l’azione di Israele come “un’aggressione”. Già oggi (16 novembre) un ministro si è recato nella striscia, e domani sarà il turno di un esponente dell’esecutivo tunisino. Turchia e Giordania faranno pressione per un cessato il fuoco immediato, mentre Siria e Iran, da tempo nel mirino della comunità internazionale, non aspettavano altro: il ritorno in scena della questione israelo-palestinese. A nord di Israele Hezbollah, “il partito di dio” in Libano, starà già lucidando i suoi lanciarazzi di matrice iraniana.
Se il mondo arabo, dopo le “primavere”, è mutato e il suo dna oggi e più che mai islamico, con picchi di puro fanatismo, anche Israele è diverso rispetto a quattro anni fa. Il premier è Benjamin Netanyahu, militare che è stato nei reparti d’elite; politico d’azione, è al governo grazie a un’alleanza con il partito xenofobo di Avigdor Liebermann, il quale persegue il progetto di colonizzare la Cisgiordania e di fregarsene dei Palestinesi. Eppure la parola pace è in cima alle keywords pronunciate da Netanyahu. Pare che solo lui voglia la “pace”, e comunque si sente l’unico in grado di garantirla al suo popolo, anche perchè ha effettivamente vinto le elezioni e gli sembrava aver messo a tacere le armi di Hamas. “Democrazia” è un’altro termine frequente durante i suoi discorsi: non solo Israele è l’unica “democrazia” in Medio oriente, ma gli arabi che vivono entro i suoi confini sono gli unici democratici. Dimenticando che gli arabi in Israele sono cittadini di serie B, visto che subiscono espropri insindacabili e per loro sta diventando impossibile acquistare una casa o un terreno.
Queste idee distorte vennero ribadite il 24 maggio 2011 davanti all’assemblea plenaria dei deputati americani, pronti ad applaudire il premier Israeliano come non hanno mai fatto con il loro presidente Barack Obama. Proprio l’appoggio incondizionato del Congresso e del Senato degli Stati Uniti nei confronti di Israele ha legato le mani a Obama, che nei primi due anni del suo mandato aveva cercato di limitare la politica espansionistica di Israele e ricondurlo a un vero cammino di pace. E invece quel giorno Netanyahu ha manifestato senza filtri il suo pensiero:
“Noi Israeliani non siamo né invasori, né occupanti: questa è la terra dei nostri padri, quando (4.000 anni fa) Abramo condusse qui il nostro popolo (qualche migliaio di persone), Davide sconfisse Golia, e re Salomone governava con saggezza. Questa terra è nostra di diritto. […] Noi abbiamo il diritto di difenderci, e sappiamo come farlo!”
E’ come Belgrado che si ostina a considerare Serbia il Kosovo, perché quella era la loro terra, la culla del loro cristianesimo ortodosso, prima che i Turchi, nel XIV secolo, la conquistassero con guerre ferocissime. Nel 2008 il Kosovo, a maggioranza “albanese”, ha dichiarato l’indipendenza unilateralmente, ed è stato anche riconosciuto.
La Palestina, per voce di Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale, ha richiesto lo stesso trattamento: si dichiara stato indipendente in confini riconosciuti da risoluzioni Onu. E’ una mossa retorica: quei confini sono stati cancellati dai 500.000 coloni protetti da Liebermann e dallo stato di apartheid. Di fatto la Palestina, che non otterrà quel riconoscimento, non ha più una terra su cui fondare il suo stato.
Oggi il diritto di Israele ad esistere non è in discussione, ed è riconosciuto dalla stragrande maggioranza del mondo. Ma quando Netanyahu in questi anni ha ripetuto di essere a favore di uno stato Palestinese, nessuno gli ha creduto, tanto meno i Palestinesi. Secondo Ugo Tramballi, Israele ha perso una grande occasione durante le Primavere arabe: avrebbe dovuto sedersi a un vero tavolo di pace, senza troppe pregiudiziali, e aprirsi a uno Stato Palestinese basato sui principi evocati dai giovani scesi nelle piazze di tutto il mondo arabo. Hamas permettendo. E invece Netanyahu, sostenuto dal silenzio della maggior parte degli Israeliani, ha confermato la sua agenda di espansione in Cisgiordania. Ma da qualche giorno ha dovuto inserire un appuntamento: nuova guerra con Gaza, Palestinesi e Israeliani da seppellire, e la possibile destabilizzazione di tutta la regione.
di Cristiano Arienti
In copertina: L’aquilone di Gerusalemme (settembre 2012), di Sacha Petryszyn
Mappa di Isarele, della Cisgiordania e di della striscia di Gaza