L’equilibrio del sistema Terra
Immaginate di stare seduti sul vostro divano in un tranquillo pomeriggio d’inverno a Milano. Il riscaldamento centralizzato è già in funzione. All’improvviso suonano alla porta. Si presenta un tizio con una stufa da installare. Non fate tempo a dirgli che voi non avete ordinato proprio un bel niente, che il tizio è già entrato e ha attaccato la spina alla presa. Schiaccia un pulsante, “tac”, e la stufa entra in funzione. Un getto di aria bollente potentissimo comincia a diffondersi per la stanza mentre il tizio se ne va, senza dare ulteriori spiegazioni. Voi lasciate fare, lasciate correre, in fondo è inverno, pensate. Poi però arriva la primavera; cominciate a percepire un calore anomalo. Fate per spegnere la stufa, ma il pannello di comando sembra non avere più controllo sul motore. La stufa va da sola, e rimarrà accesa per ben oltre due secoli; la sua aria calda, sempre più calda, trasformerà la vostra stanza in una serra tropicale.
Ecco come è andata più o meno sulla Terra, il nostro grande appartamento comune, quando alla fine del ‘700 è scoppiata la rivoluzione industriale. Il progresso tecnologico, sfruttando fonti come legna e carbone, e poi olio, petrolio e gas, ha diffuso beni e servizi a miliardi di persone; ma fino a pochi decenni fa nessuno poteva immaginare che il consumo di quelle materie stesse alterando il sistema Terra, generando un surriscaldamento incontrollato.
Lo ha spiegato, con termini e dati scientifici ben più rigorosi, il geofisico Gianluca Lentini durante la conferenza “Il sistema Terra e il cambiamento climatico”, tenutasi lo scorso febbraio presso l’Osservatorio Hoepli a Milano. Per Lentini l’attività umana sta avendo un impatto pesante sull’equilibrio climatico del nostro pianeta, e per convincere chi nega il global warming, o le sue cause scatenanti, parte da lontano. Nell’arco di 4,6 miliardi di anni alcune unità geofisiche, raggi solari, atmosfera e crosta terrestre, hanno determinato i vari cicli climatici della Terra, e favorito la comparsa della vita. A sua volta anche il mondo vegetale è diventato fattore in grado di alterare l’equilibrio del sistema, grazie alla fotosintesi. Ecco quindi la comparsa delle specie animali, anch’esse fattore geofisico. Lentini precisa che le variazioni dei cicli climatici si sono sempre manifestate durante periodi molto lunghi. I processi esterni alla Terra, come l’attività della superficie solare, impiegano almeno migliaia di anni a compiersi. I cicli fondamentali terrestri, ad esempio la formazione delle montagne, si sviluppano durante milioni di anni. Chi diffida della scienza, ricordi che l’uomo sta facendo esperimenti sui neutrini, ha mappato il genoma umano, e ha calcolato l’età dell’universo (13,7 miliardi di anni) con un margine d’errore inferiore all’1%.
Ora, supportata da decine di migliaia di dati registrati negli ultimi due secoli, la comunità scientifica ha stabilito che è in corso un global warming causato da una unità geofisica diversa dalle unità che nelle ultime ere hanno interagito all’interno del sistema Terra. I dati non sono numeri estratti al lotto, ma registrazioni fatte nelle stazioni climatiche operative sul territorio da centinaia di anni. In Italia, ad esempio, sono in funzione dal XVII secolo. Il surriscaldamento globale è da imputarsi, con una probabilità del 95%, a tutta quella serie di attività umane che sfruttano i carbon fossili e gli idrocarburi per riscaldare e illuminare gli ambienti, e far funzionare macchinari e mezzi di trasporto.
Carbone e petrolio, bruciando, rilasciano nell’atmosfera l’anidride carbonica, la CO2, che si va ad aggiungere a quella già presente nell’atmosfera. Una percentuale di CO2 in eccesso viene in parte assorbita dagli oceani (fino a quando, in che misura e con quali conseguenze non è ancora chiaro); una percentuale entra del ciclo fotosintetico; la restante rimane nell’atmosfera, generando quell’effetto serra che sta innalzando la temperatura globale. I dati su scala annua indicano che la velocità di questo fenomeno è oltre la media, ed è in costante aumento.Il 2003 è stato l’anno più caldo della storia della penisola italiana, mentre il 2011 è al 3° posto, con un autunno di 2 C° al di sopra della media.
Ora, ammettiamo che domani l’umanità intera smettesse di bruciare carbon fossili e idrocarburi: ebbene, per Lentini, a causa della quantità di CO2 già presente nell’atmosfera (aumentata del 25% in 55 anni), la temperatura terrestre continuerebbe ad innalzarsi per altri 150 anni, più o meno.
Si può intuire quanto siamo in ritardo culturale non solo sul contenimento del global warming, ma soprattutto sulla comprensione dei suoi effetti. In tutto il mondo si sta perforando la superficie terrestre alla ricerca di giacimenti petroliferi e di carbone. Il Canada ha dato il via libera allo sfruttamento delle enormi riserve di sabbie bitumose, da cui si può raffinare una sostanza simile al petrolio, con un tasso di inquinamento superiore del 20%. Al di là del fatto secondo molti esperti abbiamo superato il “peak oil”, (e quindi le riserve mondiali di petrolio, attuali e future, garantiranno energia per un tempo limitato e per sempre meno nazioni), il global warming è ignorato dalle multinazionali petrolifere e del carbone, e non viene visto come un problema tangibile e urgente dalla maggior parte dei governi. E’ comprensibile. In fondo si sta parlando di scioglimento dei ghiacci polari, che comporta un innalzamento degli oceani graduale (ma enorme rispetto ai precedenti ritmi ciclici della Terra); si sta parlando dello sciogliemento dei ghiacciai (quel che la natura ha creato in migliaia di anni si sta disperdendo in poche decadi); si sta parlando di desertificazioni o inondazioni, ma solo in zone dove vivono i poveri del pianeta. Si è intensificata la frequenza degli uragani in regioni dove si manifestavano a distanza di anni. Il Niño colpiva le coste pacifiche dell’America del Sud ogni 3-7 anni; ora si ripresenta a ogni inverno. Chi oggi ha incarichi governativi o istituzionali si preoccupa di economia, disoccupazione, bilanci, e si sente in diritto di trascurare i cambiamenti causato dal global warming; essi però si faranno sentire presto sull’economia, sia a livello nazionale che globale.
Lentini infatti spiega che oggi l’obiettivo degli scienziati coinvolti nello studio del global warming non è fermare il surriscaldamento della Terra, ma offrire risposte adeguate agli effetti che i cambiamenti climatici avranno sugli ecosistemi: l’abitabilità di coste e isole, il mutamento delle coltivazioni, la pescosità. Il modo più efficace è affidarsi ai modelli climatici, ispirati a differenti scenari, ognuno di essi legato a variabili come la popolazione, il fabbisogno energetico e le fonte energetiche, l’economia e tipi di agricoltura. Seguendo tali modelli climatici, è ragionevole pensare che la temperatura sulla Terra aumenterà tra l’1,4 C° e i 6 C° nell’arco di un secolo. Quindi, tanto per cominciare, l’accordo all’UNFCCC (Convenzione quadro delle nazioni Unite sul cambiamento climatico) di Durban 2011, che prevede un rinnovo e un’implementazione del protocollo di Kyoto, rappresenta un palliativo: ridurre le emissioni di CO2 del 5-6% non è sufficiente per invertire la tendenza del global warming.
In un simile quadro, dove le nazioni del mondo ammettono di avere un problema con il global warming ma non approntano contromisure efficaci, Lentini avanza comunque delle note positive: innanzitutto il ritorno a un’edilizia misurata sugli agenti naturali e non solo sull’estetica o sulla comodità. La Norvegia, terra di fiordi battuta dal vento atlantico, è un esempio: da qualche decennio si era cominciato a costruire le case assecondando il gusto di architetti mediterranei, quindi ampi caseggiati con vetrate affacciate sul mare o sui fiordi. La Norvegia come Ibiza o la costa tirrenica. Il vento però, soffiando incessantemente, raffredda i muri di quelle costruzioni aumentando il consumo energetico, oltre che i costi in bolletta. Ecco quindi il ritorno alle origini e alla sapienza popolare delle case strette: la facciata esposta al vento è quella del lato corto; così i lati lunghi sono in qualche modo risparmiati dalla corrente atlantica. E si risparmia in energia.
Per il geofisico un’altra speranza è la diffusione del fotovoltaico, soprattutto a livello edilizio. I dati del 2011 sono incoraggianti: il 26% dell’energia elettrica consumata nei comuni italiani proveniva da fonti rinnovabili, con un boom degli impianti a pannelli solari. Questi numeri dimostrano che è ancora possibile influire sui modelli climatici che prevedono un innalzamento della temperatura mondiale, cambiando il sistema energetico basato sul carbon fossile. Attualmente in Italia il problema del fotovoltaico è il costo degli incentivi statali, che ricade sulle bollette, e la difficoltà degli operatori sul mercato di finanziarsi. E’ ancora lontano lo scenario di tetti o campi coperti da pannelli solari, con intere città autosufficienti a livello energetico. Ma prima o poi dovermo staccare la spina a quella stufa in funzione da due secoli, se non vogliamo alterare in modo irreparabile, e con effetti imprevedibili, l’equilibrio del sistema Terra.
di Cristiano Arienti
In copertina: J. Turner – Castle