Bce e banche, la regola dell’overdose
E’ come prestare i soldi a qualcuno non ancora uscito dal gorgo della droga: per quante assicurazioni ti dia, c’è sempre il rischio che usi il denaro intascato per farsi. Un’immagine dura, ma descrive la percezione del cittadino medio alla notizia del prestito della Banca centrale europea (Bce) alle banche europee. Con le due aste di dicembre e marzo sono finiti nelle casse di 800 istituti di credito oltre 1000 miliardi di euro a un tasso di interesse dell’1%; soldi dei contribuenti europei. A lungo termine, nell’ottica di Mario Draghi, governatore della Bce, smuoveranno sia il mercato dei titoli di stato che il blocco creditizio (credit crunch) spuntato con la crisi finanziaria (2008), e aggravatosi con la crisi del debito sovrano di Grecia e Italia (2010-2011). In realtà una mia amica mi ha confermato che i tassi praticati dalla Banca per cui lavora, una “big”, sono aumentati rispetto all’ultimo scorcio del 2011. Su Focus economia di Radio 24, ancora dieci giorni fa si sentivano storie di questo tenore: il signor Rossi va dalla sua banca “X” chiedendo un finanziamento per comprarsi i mobili di casa; presenta il suo contratto a tempo indeterminato più quello determinato della compagna, ma la banca o gli nega il finanziamento o lo concederebbe abbinandolo a prodotti finanziari con tassi variabili quanto meno sospetti. Il signor Bianchi ha un’impresa da ammodernare, vuole rilanciarsi sul mercato: la sua banca, sempre la “X”, gli nega il prestito, punto. Ecco, oggi in Europa quei 1000 miliardi, invece di destinarli al signor Rossi e al Signor Bianchi, vengono dati a 800 banche “X” sperando di oliare quel meccanismo di prestito che fa funzionare l’economia capitalista. Purtroppo, le banche si sono pigliate i 489 miliardi della prima tranche di dicembre e li hanno investiti nei titoli di stato con rendite, al netto degli interessi da ripagare alla Bce, del 3%. La banca “X”, mi spiega un mio amico lavora come consulente di istituti di credito, “fa questo ragionamento: perchè rischiare i soldi con questa crisi? L’impresa di Bianchi può andare a rotoli, e il signor Rossi può perdere il lavoro. C’è sempre il rischio di default della Grecia, ma gli altri Stati pagheranno di sicuro.”
Ora, le banche non hanno fiducia nei loro clienti per via della crisi; il problema è che non ce l’hanno nemmeno l’una verso l’altra, e questo ha contribuito ulteriormente alla chiusura dei rubinetti del credito verso le aziende e i privati. Il guadagno spropositato della finanza, quello che permette bonus da centinaia di milioni di euro ai vertici delle banche, si basava sul credito interbancario attraverso tecniche finanziarie astruse per i non addetti ai lavori. Esse generano profitti attraverso prodotti come i derivati, la maggior parte dei quali scambiati al di fuori delle borse. Quei profitti sono numeri messi in bilancio, ma in una decina d’anni sono diventati la leva per erogare il credito, soverchiando i depositi bancari, gli incassi degli interessi e le proprietà. A un certo punto, però, quei profitti si sono rivelati delle perdite (titoli tossici come i subprime americani o i titoli di stato greci). Adesso le banche giocano a carte scoperte: non solo non hanno nemmeno lontanamente i soldi che dichiarano a bilancio, ma è palese quanto la loro attività fosse legata ai derivati. Il mio amico definisce questa situazione una mutazione genetica delle banche: il loro ruolo non è più il deposito, il credito o l’investimento, ma fare soldi in una dimensione distaccata dall’economia reale.
Per dire: il signor Bianchi presterebbe al signor Rossi soldi veri garantiti da cambiali e ipoteche, non derivati. Questo è quello che facevano gli istituti di credito fino a pochi anni fa. Oggi la banca “X” fa a meno dei soldi del signor Rossi sotto forma di interessi perchè, come mi ha confermato la mia amica che lavora per la Banca “big”, il mercato interbancario è fermo a causa dell’instabilità dei mercati. Ma si può ancora parlare di capitalismo? Se sì, in che termini? La mia amica, parlando della relazione tra economia reale e finanza, mi ha detto: “siamo completamente dipendenti dal funzionamento del nostro sistema bancario/finanziario.”
Lo stato della finanza dopo l’overdose del 2008
Il sistema bancario/finanziario, e il capitalismo ad esso legato intrinsecamente, era moribondo nel settembre 2008; prima ci sono stati i salvataggi in extremis delle banche di investimento Bearn Stearns e Merrill Lynch, poi il fallimento della Lehman Brothers e, a ruota, di decine di istituti di credito medi e piccoli. Solo la bancarotta della Lehman Brothers è valsa 613 miliardi dollari, e ha innescato una stretta creditizia potenzialmente capace di disintegrare la finanza mondiale, come il crollo della borsa di Wall Street nel 1929. Nel film Too big too fail (Troppo grande per fallire) si ricostruiscono quei drammatici giorni: il segretario del tesoro Usa Hank Paulson, ex Ceo della banca Goldman Sachs, inietta nelle casse delle maggiori banche americane 700 miliardi di dollari; quei soldi dei contribuenti americani sono serviti a tappare la falla di Lehman e a smorzare il panico dei mercati. Paul Giamatti interpreta un Ben Bernanke neo governatore della Fed (la Banca centrale d’America) che, di fronte alla delegazione del Congresso incaricata di approvare quello stanziamento, pronuncia le seguenti parole:
“Ho trascorso tutta la mia carriera accademica a studiare la Grande depressione (degli anni 30). La Depressione sarà pure iniziata a causa del crollo della borsa, ma quello che ha veramente colpito l’economia è stata l’interruzione del credito. Il cittadino medio non aveva accesso al credito, non poteva comprare una casa, iniziare un’attività, rifornire il negozio. Il credito ha la capacità di costruire un’economia moderna, mentre la mancanza di credito ha il potere di distruggerla, in un istante, completamente. Se noi non agiremo subito e con audacia, rivivremo ciò che accadde nella Depressione degli anni ’30, solo che questa volta sarà molto, molto peggio. Se non agiremo immediatamente, lunedì non avremo più un’economia.”
Con quel salvataggio, per dirla con le parole del mio amico consulente, è come se i contribuenti avessero riscattato l’economia reale sequestrata dalla finanza. L’intervento ha fatto rialzare il moribondo ma non ha risolto la crisi, perchè i titoli tossici erano ancora in circolo. Nel 2009 è diventato di pubblico dominio che una montagna di essi era nel bilancio della Grecia; nel 2011 si è affacciato il rischio dell’insolvenza di interi Stati e la fine dell’euro. Giamatti-Bernanke ci ha spiegato perché le banche non possono fallire: allora cosa avrebbe comportato un default dell’Italia, i cui titoli di stato, nell’ordine di migliaia di miliardi di euro, sono nella pancia di governi e istituti di credito di tutto il mondo?
E’ da qualche mese che l’Italia si sta riprendendo sui mercati, ma le banche europee sono rimaste pietrificate nel credit crunch. Insomma, anche nel vecchio continente l’economia reale è in ostaggio della finanza; quindi la Bce, seguendo il copione hollywoodiano, sta facendo da intermediatore per riscattarla. Bene, a questo punto però ci chiediamo: quando ci toccherà certificare un’altra overdose del sistema bancario/finanziario? Dovremo assistere alla sua resurrezione grazie ai soldi dei contribuenti pur di non mandare in malore l’economia capitalista? O possiamo rilassarci?
Un grafico pubblicato su Internazionale a margine di un articolo di John Lancaster, Il circolo vizioso della finanza, suggerisce che è cambiato ben poco dopo il crack della Lehman. Sono stati messi a confronto il Pil (prodotto interno lordo) dell’economia mondiale nel 2010 con il valore dei titoli derivati scambiati fuori dalle borse , cioè attraverso flussi interbancari, alla metà del 2011:
Pil mondiale: 70.000 miliardi di dollari
Valore dei derivati: 708.000 miliardi di dollari.
Il valore dei derivati, numeri intelligibili solo sui computer di borse, banche e qualche redazione, è 10 volte superiore a tutti i beni e a tutti i servizi prodotti da 7 miliardi di esseri umani sul pianeta Terra. Non è che i Master of the Universe di Wall Street e della City non abbiano imparato la lezione, semmai è l’opposto: hanno capito che possono fare tutto quello che vogliono, perchè loro sono l’economia reale o irreale, morale o immorale, giusta o sbagliata, geniale o semplicemente stupida. “A loro di me e di te, di Rossi e di Bianchi, non gliene frega niente”, mi ha spiegato il mio amico. “E’ chiaro che è necessaria una seria regolamentazione del sistema finanziario, a partire dalla Tobin Tax, ovvero la tassa sugli scambi interbancari, e da una vera trasparenza nei bilanci delle banche.”
In effetti qualcosa si sta muovendo. Nell’Unione europea, dopo aver raggiunto quasi all’unanimità l’unione fiscale, si sta discutendo di tassare le transazioni finanziarie, ma sarebbe un palliativo, se non sarà una regola condivisa da tutte le borse del mondo. Negli Stati Uniti poi dovrebbe entrare in vigore la Dodd-Frank, la riforma del sistema finanziario voluta dal Presidente Usa Barack Obama; è stata approntata per mettere al sicuro l’economia reale dalle alchimie dei derivati. Naturalmente ha già subito un’ondata di critiche: o perchè troppo blanda o perchè troppo rigida. Sull’Economist è uscito un articolo dal titolo Too big not to fail (Troppo grande per non fallire), riferendosi all’impianto di regole della Dodd-Frank: in una stringente analisi si pongono seri dubbi sull’efficacia di questa riforma nel fermare tecniche finanziarie rischiose, ma soprattutto si avverte che un sistema finanziario così regolamentato sta spaventando gli investitori.
Quindi, troppa regolamentazione no, tassa sulle transazioni no. No anche all’eliminazione delle commissioni bancarie in Italia; per protestare contro questa proposta di legge del parlamento, Roberto Mussari, presidente dell’Abi (Associazione banche italiane) ha rassegnato le dimissioni; lamenta un “clima insostenibile contro istituti di credito che sono sempre stati vicini alla gente e alle imprese in questo periodo di crisi.” Qualcuno dovrebbe dire a Mussari che è vero il contrario: è la gente comune, con i suoi contributi, che sta assistendo le banche. Speriamo che non utilizzino quegli oltre 1000 miliardi di euro della Bce per spararsi in vena un’altra dose letale di derivati.