Viaggio nella scuola multiculturale
Che cosa ci guadagna la scuola italiana dalla massiccia presenza di bambini figli di persone non italiane? Ecco la “bussola” con cui Vinicio Ongini, dirigente dell’ufficio integrazione alunni stranieri del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha esplorato l’Italia di oggi e le sue scuole; un territorio di confine dove i giovani italiani per discendenza si stanno mescolando con i nuovi italiani, bulbi di tutte le latitudini attecchiti nel suolo della penisola, dall’Appennino calabro alle valli del Po. “Come che cosa ci guadagna?”, potrebbero chiedersi in molti, che vedono la presenza della nidiata di gente straniera come una invasione barbarica e la rappresentazione di una realtà intollerabile.
“Si, ci deve essere un aspetto positivo”, si è detto Ongini un paio di anni fa, rigettando la narrativa dei mezzi di informazione e di movimenti come la Lega Nord, o la destra sociale. Articoli e servizi televisivi hanno portato l’opinione pubblica a identificare l’immigrato sospettato o colpevole di reati con l’immigrato in quanto tale. Molti giornalisti, per descrivere situazioni di disagio spesso dovute alla mancanza di progettualità della politica e alla ristrettezza di visione, si sono inventati termini terribili come ‘scuole ghetto’. E proprio quei i politici che dovevano raccogliere la sfida del cambiamento nel nostro panorama sociale, hanno agitato lo ius sanguinis come una doppietta: alla legge “sei italiano solo se hai sangue italiano” è seguita la formula “sei da temere perchè figlio di immigrati”. Palle incatenate che si sono abbattute su chiunque in questi anni abbia cercato di indagare la realtà con altri strumenti conoscitivi: innanzitutto la propria umanità, poi la razionalità. Fra questi c’era proprio Ongini: l’uomo si è messo in viaggio alla ricerca di risposte, per dare un senso al moltiplicarsi di giovani arbusti che alla vista sono diversi, ma pensano in italiano e parlano nella nostra lingua. Possibile che la carnagione, o il taglio degli occhi, essendo segni distintivi evidenti di una eredità straniera, debbano essere più importanti di una identità italiana sentimentale e intellettuale? Nel 21° secolo? Nell’Europa dei diritti della solidarietà e dell’uguaglianza? Se proprio si deve fare una cernita fra italiani e stranieri, come fra chi sbaglia e chi vive nel rispetto delle leggi, allora si giudichi caso per caso. Senza ghettizzare o autoescludersi. Distinguere è la parola d’ordine di Ongini. Distinguere l’adolescente appena giunto dall’altro capo del mondo, che effettivamente non conosce la nostra lingua, dal bambino nato in un ostetricia di Brescia, Prato o Catania, il quale non solo parla l’italiano delle Tv nazionali, ma si esprime perfino nel dialetto dei borghi dove è cresciuto. Come i figli degli ivoriani che popolano la Val di Maira, nel cuneense: parlano meglio l’occitano dei loro coetanei figli di italiani. Quei bruni arbusti sfruttano il fatto che sono bilingui e conoscono anche il francese, parente stretto dell’Occitano.
Questo è solo uno dei vantaggi tangibili, l’opportunità di crescere i nostri giovani in un ambiente multilingue; esso va a sommarsi agli altri aspetti positivi registrati da Ongini, riassunti nel suo libro “Noi domani – Un viaggio nella scuola multiculturale”, Editori Laterza. Il volume, l’incantevole narrazione di storie di un’Italia che si incontra dai nidi agli istituti superiori, è stato presentato nella ex chiesetta del parco Trotter, durante un dibattito organizzato dall’associazione Città del Sole e dal magazine “Terre di mezzo”. Accanto all’autore era presente, fra gli altri, la vicesindaco di Milano Maria Grazia Guida.
Accanto alla lingua, secondo Ongini, ce ne sono altri 9 di vantaggi. ‘Occasione’: molte scuole, se non fosse per la presenza dei figli di immigrati, rischierebbero di chiudere. ‘Evidenziatore’: gli studenti stranieri sono un evidenziatore dei nostri stili educativi; il loro giudizio può rappresentare uno stimolo per crescere e approfondire i modelli educativi. ‘Qualità’: la ricerca Tuttoscuola del 2011 ha eletto le scuole di Torino, dove la presenza di stranieri e fra le più alte del paese, le migliori del Paese. Matematica: i figli degli immigrati asiatici sono molto portati per la matematica, un aspetto da non sottovalutare, e semmai da approfondire. ‘Impegno’: questi bambini rispettano gli insegnanti e cercano di rendersi utili ai dirigenti, fino a pulire di loro spontanea volontà i propri banchi. ‘Scambio’: le visite e gli scambi culturali con i Paesi di origine dei G2 favorisono la collaborazione diplomatico-didattica e sono un’opportunità per imparare la lingua sul posto. ‘Chiavi di casa’: quelle che i genitori stranieri affidano ai loro giovanissimi figli, caricandoli di una responsabilità positiva che i genitori italiani negano ai loro. ‘Internazionale: nelle statistiche internazionali delle università la presenza di stranieri è indice di qualità dell’ateneo. ‘Merito’, cioè l’idea che questi bambini, per l’oggettiva difficoltà di farsi strada in una società di nepotisti e raccomandati, debbano meritarsi qualsiasi traguardo, nella scuola come lo sarà nel lavoro; e in questo siano da esempio ai coetanei figli di italiani.
I vantaggi ulteriori, poi, sono appunto ‘scuola’ e ‘multiculturale’, termini che di per sé significano crescita e arricchimento. E’ questo che stanno vivendo i nostri bambini negli istituti di tutta Italia, ma le loro storie sono del tutto trascurate dai media. Ecco qual’è la realtà, nonostante i disagi (si veda lo stato fatiscente di molti istituti denunciato dai dirigenti scolastici incontrati da Ongini nel suo viaggio) e gli ostracismi di comunità che non accettano il meticciato neppure come semplice condivisione dello spazio scolastico. Quindi, se non si dovrebbe mai parlare di scuole ghetto, si deve registrare il caso di Montecchio Maggiore, tappa finale del primo “giro ciclistico della Padania”, dove i bambini sono stati distribuiti in classi separate: in una i figli degli immigrati, nell’altra i figli degli italiani.
E’ l’estensione del provvedimento preso da Mariastella Gelmini, area Pdl: l’ex ministro dell’Istruzione aveva ordinato che la presenza di stranieri nelle classi non superasse il tetto del 30%. Al di là del linguaggio inadeguato, si è posta fin da subito la questione dei numeri. Oltre 20.000 scuole su 58.000 hanno chiesto deroghe, per altro accolte, per l’impossibilità di rispettare quel tetto. Così dal ministero è partita una circolare dove i G2 nati in Italia con meno di dieci anni non rientrano nell’accezione “straniero”, trucco per poter affermare che si rispetta quel tetto immaginario. Tuttavia le cifre, dai numeri raccolti in questi anni fino alle statistiche future, svuotano di serietà qualsiasi politica restrittiva, almeno che non si prenda Montello Maggiore come modello della nostra scuola, e si trasformi l’Italia in un paese che pratica l’apartheid.
La vicesindaco Guida spiega che il tema è prima di tutto didattico: si trovino le linee giuda più appropriate per risolvere le situazioni più complicate, e si dia ai ragazzi la possibilità di studiare in un contesto di integrazione. Poi il tema ha una sfaccettatura politico con una base sociale: è necessario, di fronte a questi numeri, cambiare il nostro modo di essere cittadini e genitori; bisogna costruire non solo una scuola, ma una città meticcia, e imparare a convivere con una realtà che in molti, troppi, genera ancora diffidenza, paura. E la realtà che movimenti politici rifiutano, è la stessa in cui Ongini vede non uno ma ben 10 vantaggi di guadagno, almeno nella scuola. Ma nel suo viaggio in questo mondo, da nord a sud, non ha registrato solo storie di grande speranza e di successo per una integrazione totale dei G2 e degli stranieri nel nostro sistema scolastico; ci sono anche esperienze di sofferenza, di persone che hanno sopportato l’esclusione o subìto l’intolleranza, o non hanno saputo integrarsi. Ongini ha approntato il suo decalogo grazie alla visione diretta di questo laboratorio sociale che è diventata la scuola italiana, e con il suo libro ci ricorda che nelle aule di quasi 60.000 istituti c’è il futuro di milioni di individui, e quello di un sistema Paese, il nostro.
di Cristiano Arienti
In copertina Henri Matisse, La danza