Crisi, l’alba di un nuovo linguaggio
La nota positiva è che ormai non si può più negare l’evidenza come ha fatto il governo Berlusconi per anni: è di dominio pubblico che come Paese siamo in difficoltà. E non più notizia taciuta: la crisi partita nel 2007/2008 ha investito l’Italia e gli altri Paesi europei come uno tsunami,e rischia di travolgerci tutti, distruggendo quello che abbiamo costruito in decenni. Si torna al linguaggio della realtà, squarciando il velo dell’apparenza che copriva fatti noti a noi tutti, ma vissuti individualmente, non come collettività. Prima il singolo cittadino viveva da isolato la difficoltà del presente e la preocuppazione per il domani; oggi sa che difficoltà e preoccupazioni invadono i pensieri dell’amico, del collega, degli altri pendolari che incontra tutti i giorni sul treno. Solo guardando in faccia i problemi si può pensare di affrontarli e risolverli. Insieme, non da soli. E dal 2008 i problemi si sono acuiti proprio per questa mancanza di lucidità nel delineare le dinamiche di questa crisi, e nel trovare risposte adeguate. E’ una crisi sistemica che ha colpito i singoli Paesi e gli organismi sovranazionali a cui appartengono, ed è anche una crisi strutturale, cioè ha messo in ginocchio la nostra economia industriale e di servizi, a livello pubblico e privato; ma soprattutto si sta rivelando una crisi culturale: sono messi in discussione, a torto o a ragione, alcuni diritti sociali conquistati nella seconda metà del ‘900, e considerati punta di diamante del progresso civile. La narrativa berlusconiana parlava (e lo fa ancora adesso) di un’Italia solida e benestante; adesso in Italia si parla di una sfida per non affondare sotto i colpi di una speculazione finanziaria indifferente all’impoverimento di milioni di persone. E soprattutto bisogna parlare del tentativo titanico di difendere lo stato sociale con meno risorse, e rispondere a bisogni che con la crisi sono sono destinati a crescere in modo esponenziale.
Di questo si è discusso 15 dicembre alla Triennale di Milano, nel quadro delle “Cinque giornate del Sociale”, in occasione della presentazione del 10° “Rapporto sui diritti globali“, ricerca sulle tematiche sociali curata da societàINformazione, onlus sostenuta da una rete di associazioni come la Cgil, Legambiente, Vita. Alla conferenza hanno partecipato vari esponenti di alcune di queste realtà: Enrico Panini, segretario nazionale della Cgil, il sociologo Marco Revelli, Don Armando Zappolini, del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Onorio Rosati, segretario della Camera del lavoro di Milano, Guido Viale, economista e ambientalista. Sono persone che per mestiere affrontano le problematiche dei lavoratori e dei cittadini appartenenti le fasce più vulnerabili della società, e cercano soluzioni ai problemi più urgenti mettendo in campo la loro competenza. Singolarmente, raccogliendo dati ed esperienze vissute, si sono confrontati con gli effetti della crisi sulla società italiana in generale e sul mondo sociale in particolare. Durante il dibattito hanno fatto una prima analisi dell’impatto deprimente che la manovra anticrisi del governo Monti avrà sul tessuto sociale; e insieme hanno cercato di trovare un linguaggio comune per descrivere la situazione attuale, e per offrire una via da percorrere per superare le difficoltà che stanno già colpendo il mondo del sociale, a livello pubblico (servizi non più garantiti alla cittadinanza) e a livello privato (associazioni e onlus che faticano a funzionare in modo adeguato per mancanza di fondi).
Il moderatore Cecco Bellosi, dell’Associazione Cominità il Gabbiano, non ha usato mezzi termini, questa crisi è una “guerra”: stanno cambiando gli assetti geopolitici, con Cina, India e Brasile che avanzano mentre l’Occidente sembra percorrere una parabola discendente. Parallelamente, si sta creando un tipo di lavoratore sempre più precario, chiamato “risorsa” al pari di sostanze inanimate o servizi logistici, come ha sottolineato Moni Ovadia nel suo monologo in apertura del dibattito. Toccare i contratti e le pensioni ed erodere certi diritti ci avvicina a quesi Paesi dove il lavoratore è davvero un numero da sfruttare, come nelle fabbriche del Gujarat o dello Wenzhou. La crisi, invece, sta innescando una guerra a bassa intensità secondo il sociologo Marco Revelli: la mancanza di sostegno dello stato a favore delle fasce povere aumenta le tensioni sociali nei quartieri periferici e e nelle zone disagiate, come è avvenuto di recente a Torino, con una folla inferocità che ha dato fuoco a un campo rom. Si rischia di assistere alla guerra degli ultimi contro i penultimi, se la logica deve essere quella di salvare le banche ma di abbandonare al loro destino i più deboli.
La parola che più ha destato più preoccupazione è proprio “abbandono”: il senso di impotenza degli operatori che dall’oggi al domani si vedono tagliate le risorse economiche e organizzative grazie alle quali svolgono il loro lavoro; è il senso di solitudine del cittadino che fino a ieri godeva di servizi essenziali per mantenere un livello di vita dignitoso. Ecco cosa sta portando in dono la crisi in questo finale di 2011. Condividere con gli altri la consapevolezza di quanto sia dura la situazione non allevia di certo la sofferenza del singolo e il disagio del nucleo familiare. Come si fa a non sentirsi abbandonati dallo stato quando calano i servizi, aumentano le spese e le imposte, sale il tetto pensionistico e aumenta il rischio di perdere il posto di lavoro?
Le risposte, va da sè, non sono semplici da trovare. Inanzitutto lo Stato giustifica questo scenario con la necessità di mantenere i conti, pena il fallimento; lo abbiamo evitato per un soffio con la caduta del governo Pdl-Lega Nord, ma il governo Monti ha molto da fare per assicurarci una ripresa. Ai pesanti sacrifici chiesti ai cittadini italiani, sacrifici che dovrebbero rispondere a principi di equità, dovrebbe seguire una vera riforma dello stato. E su questo punto i partecipenati del dibattito sono d’accordo: che sia un rinnovamento che tenga conto dei principi di giustizia sociale, e che non segua i modelli neoliberlisti, che ci hanno portato fino a questo punto. E che sia un rinnovamento solidale. Solidarietà sia preporagativa della nuova Italia; quella vecchia era imbevuta di una parola, libertà, che con Berlusconi si è svuotata del suo significato potente e nobile. Lo ha sottolineato Moni Ovadia: libertà sì, ma anche equità/giustizia sociale e fraternità/solidarietà. Quest’ultimo binomio deve essere la parola d’ordine dell’associazionismo italiano, che è chiamato a un compito difficilissimo: raggiungere i “luoghi” della società dove lo stato, con sempre meno risorse, non riuscirà più ad arrivare: le case e le strutture abitate dai poveri, i disabili, gli immigrati, i rom, i carcerati, gli emarginati, i disadattati, gli anziani, gli studenti. Don Zappolini lo dice espressamente: allo smantellamento dei servizi sociali bisogna reagire, prima di tutto, conquistando il territorio per creare una rete di solidarietà fra i cittadini. Non si supera la crisi rintanandosi in casa, ma uscendo allo scoperto e lavorando, per quel che si può, al servizio della comunità, e non solo per se stessi. In secondo luogo bisogna tornare a fare politica, ridare un orizzonte progettuale alla gente: i sacrifici di oggi devono diventare le conquiste del domani. In un momento di depressione generale come questo si deve reagire con la speranza di un futuro migliore; non c’è davvero nessun altra alternativa. Bisogna invertire la curva della parabola a livello morale prima ancora che economico, farla tornare verso l’alto.
Più in concreto, è l’economista e ambientalista Viali che traccia una via percorribile per affrontare i problemi impellenti per le tasche dei cittadini, come quello, ad esempio, delle bollette. l’Italia e gli Italiani sono ostaggio del costo del gas e dell’elettricità, beni prodotti consumando energia comprata in gran parte all’estero. Ecco dunque che una soluzione potrebbe essere puntare sulle rinnovabili, ma con un sistema davvero nuovo: interi quartieri o comuni che si creano la propria sussistenza energetica con il fotovoltaico. Il contenimento delle spese, nell’ottica di Viali, è possibile sono se si è consumatori consapevoli; individualmente, certo, ma soprattutta come individui di una comunità che, unita, diventa una forza.
Ecco quindi come il nuovo linguaggio ci parla di una società italiana investita dalla crisi; ma discutendone tra noi si possono anche trovare degli spunti non solo per reagire alla situazione, ma per rinnovare il Paese. E’ un’esigenza di cui non si può più fare a meno, sia come individui che soprattutto come componenti di una comunità.
di Cristiano Arienti
in copertina Edward Hopper, Morning sun